Che contrastare i cambiamenti climatici sia la priorità di questo decennio è un dato di fatto, accertato dal mondo scientifico e suffragato dai governi e dalle istituzioni internazionali. Quando è il momento di passare all’azione, possiamo scegliere tra due strade: la mitigazione e l’adattamento. Strade diverse ma entrambe utili, anzi, irrinunciabili. Cerchiamo di capire meglio cosa comportano e a che punto siamo per ciascuna di esse.
Le politiche di mitigazione per abbattere le emissioni
Quando si parla di mitigazione dei cambiamenti climatici, ci si riferisce a tutte quelle azioni che riducono l’emissione in atmosfera dei gas serra responsabili del riscaldamento globale. Qualche esempio? Limitare la circolazione delle auto a benzina e diesel in città, alimentare case e industrie con le fonti rinnovabili o migliorare la loro efficienza energetica, porre fine ai sussidi a favore dei combustibili fossili. Ma anche piantare alberi, poiché essi catturano CO2 dall’atmosfera: secondo uno celebre studio dello svizzero Thomas Crowther, il Pianeta ne può ospitare altri 1.200 miliardi.
Su questo fronte procediamo ancora a rilento, avverte l’Unep nelle pagine dell’ultimo Emissions gap report. Per limitare il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, come auspicato dall’Accordo di Parigi, dovremmo sforbiciare le emissioni del 7,6 per cento ogni anno per tutto questo decennio. Nemmeno la pandemia, che ha bloccato trasporti e attività produttive per mesi, ci ha portati a centrare questo obiettivo: per il 2020 si stima un calo del 7 per cento, pressoché ininfluente nel medio-lungo periodo.
Le misure di adattamento per tutelarci dal clima impazzito
Mentre la comunità internazionale si incammina verso la transizione ecologica, i cambiamenti climatici già si manifestano in modalità spesso traumatiche. Tra il 2000 e il 2019 si sono susseguiti ben 11mila eventi meteorologici estremi, con un drammatico bilancio di 475mila morti e 2.106 miliardi di euro di perdite economiche.
La scienza, gli investimenti e le tecnologie possono però essere messi a frutto nelle cosiddette misure di adattamento, cioè quelle che ci rendono meno vulnerabili a cicloni, frane, ondate di siccità, incendi, piogge, grandinate torrenziali. In questa categoria rientrano per esempio i sistemi di allerta preventiva che consentono alla popolazione di mettersi in salvo prima dell’arrivo di un ciclone; le mappe sul rischio idrogeologico; le colture resistenti alla siccità. Sicuramente tutti questi interventi sono complessi, ma i costi sono destinati a essere più che ripagati dai benefici. Secondo la Global commission on adaptation, investire 1.800 miliardi di dollari in un decennio frutterà 7.100 miliardi in benefici economici netti.
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.