Anni di lotta per salvare il proprio quartiere dagli abusi delle multinazionali petrolchimiche, uniti all’impegno sincero e totalizzante per proteggere una comunità vittima da troppo tempo di decisioni ingiuste e pericolose: è questa la storia di Sharon Lavigne, attivista americana di 68 anni tra i sei vincitori del prestigioso Goldman environmental prize, il premio dedicato agli esponenti della società civile che si battono per il clima.
Lavigne è originaria di St. James parish, un’area dello stato americano della Louisiana conosciuta come “Cancer alley” per la forte concentrazione di impianti di produzione industriale e gli alti tassi di cancro o problemi respiratori diffusi tra la popolazione. Nel 2019 il suo impegno ha permesso di evitare la costruzione dell’ennesimo, enorme complesso industriale da parte della compagnia cinese Wanhua, e punta ora a bloccare un nuovo progetto da 9,4 miliardi di dollari portato avanti dalla compagnia Formosa plastics.
La realtà di Cancer alley
Lavigne ha vissuto per tutta la vita a St. James parish, sulle sponde del fiume Mississippi, tra New Orleans e Baton Rouge. L’area ospita quasi 150 stabilimenti industriali tra raffinerie di petrolio, fabbriche per la produzione della plastica e impianti petrolchimici. Le case dei circa 20mila residenti locali – la maggior parte dei quali appartenente alla comunità afroamericana – si affacciano su fornaci e oleodotti, che impregnano l’aria e le acque di sostanze nocive.
A Cancer alley gli abitanti sono 50 volte più esposti rispetto alla media nazionale al rischio di contrarre il cancro a causa dell’inquinamento atmosferico, dato soprattutto dalle emissioni di cloroprene. In città, tutti conoscono qualcuno che è morto a causa delle fabbriche.
Sharon Lavigne ha assistito alla progressiva trasformazione della zona da parte delle multinazionali. Terminata la carriera come insegnante, nel 2018 ha fondato l’organizzazione Rise St. James per dedicarsi a tempo pieno all’attivismo ambientale.
Contro l’ennesima fabbrica
Proprio in quegli anni la società cinese Wanhua stava progettando di costruire a St. James parish un enorme complesso industriale da 1,25 miliardi di dollari per la produzione della plastica. L’impianto avrebbe generato più di 450 tonnellate (un milione di libbre) all’anno di rifiuti pericolosi, soprattutto per l’apparato respiratorio.
L’amministrazione comunale di St. James parish aveva subito approvato il piano, e non solo: a Wanhua sarebbero stati concessi dieci anni di esenzioni da qualsiasi tassa di proprietà, con la promessa inoltre di modificare l’assetto urbanistico della zona in modo da permettere che lo stabilimento fosse costruito in prossimità delle abitazioni private, occupate generalmente da comunità a basso reddito.
Tramite Rise St. James, Lavigne si è battuta per fermare il progetto di Wanhua. Ha partecipato a incontri sul tema, testimoniando e interrogando i responsabili sulle possibili conseguenze che l’ennesima fabbrica avrebbe causato per l’ambiente e la salute dei residenti, organizzato proteste ed eventi pubblici e bussato a ogni porta nel tentativo di sensibilizzare i cittadini su ciò che stava succedendo intorno a loro. Ha scritto lettere ai giornali locali, interpellato esperti e studiosi e finanziato pubblicità per bloccare la costruzione dell’impianto.
I suoi sforzi, e quelli di tutti gli attivisti e le attiviste che l’hanno seguita, sono stati ripagati. Nel settembre 2019 Wanhua ha ritirato il progetto e cancellato i propri piani nell’area di St. James parish, affermando che i costi di produzione erano diventati insostenibili.
“Questa è una vittoria per tutti noi”, ha commentato Lavigne poco dopo i fatti. “Non rimarremo seduti ad accettare che la stagione di caccia è aperta per le aziende che vogliono costruire a St. James parish. Combatteremo”.
La lotta per fermare Formosa plastics
Dopo la vittoria su Wanhua, ora Lavigne guarda a un’altra sfida. Formosa plastics, multinazionale di Taiwan, ha intenzione di costruire un enorme complesso industriale da 9,4 miliardi di dollari a St. James parish.
Formosa trasforma l’etano contenuto nel gas naturale in plastica utilizzata per produrre bottiglie, buste della spesa e altri oggetti usa e getta. Secondo quanto riferito dal movimento Coalition against Death alley (Coalizione contro il vicolo della morte, un altro triste soprannome di Cancer alley), per costruire l’impianto la compagnia getterebbe una colata di cemento su terreni attualmente occupati da campi per canna da zucchero, eliminando un’importante area di drenaggio e mettendo a rischio case, chiese e attività commerciali limitrofe. La fabbrica lavorerebbe 24 ore su 24, 7 giorni su 7, emettendo 14 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno.
Lavigne e la sua associazione, insieme a una rete di attivisti e organizzazioni locali, stanno attualmente facendo pressioni per bloccare la costruzione del complesso.
Grazie al suo instancabile impegno nel campo dell’attivismo ambientale, che ha portato a conseguenze concrete, Lavigne è stata scelta fra i sei vincitori del Goldman environmental prize 2021. Insieme a lei troviamo Kimiko Hirata (Giappone), Liz Chicaje Churay (Perù), Gloria Majiga-Kamoto (Malawi), Thai Van Nguyen (Vietnam) e Maida Bilal (Bosnia ed Erzegovina).
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