Il 9 maggio di quest’anno è la festa della mamma, mentre l’11 ricorre il decimo anniversario della Convenzione di Istanbul, il più importante trattato internazionale contro la violenza sulle donne. Fa male che proprio in questi giorni sia stato pubblicato l’annuale report di Save the children sulla condizione femminile nel nostro paese, intitolato Le equilibriste, perché i dati che contiene sono tutt’altro che incoraggianti.
La denatalità
Il report evidenzia come “la crisi delle culle” sia da tempo un fenomeno di particolare intensità in Italia. La natalità in calo registra continui record negativi e non s’intravedono all’orizzonte segnali che facciano sperare in un’inversione di tendenza.
Secondo una prima stima, i nati del 2020 sarebbero 404.104, cioè quasi 16mila in meno rispetto al 2019: un calo del 3,8 per cento. Le nascite sono diminuite ovunque, anche se la Provincia autonoma di Bolzano vanta il più alto tasso di natalità, mentre la Sardegna chiude la classifica. L’Italia è inoltre il paese europeo con le mamme più “anziane” alla nascita del primo figlio con un’età che si attesta in media, in base agli ultimi dati, a 31,3 anni.
Save the children avverte che “se la scelta di avere figli o meno è molto personale e dipende da numerose variabili, le condizione di contesto, tra cui le politiche pubbliche e la disponibilità di servizi accessibili e di qualità, possono influenzarla considerevolmente”. Un esempio della situazione italiana? Solo un bambino su quattro, sotto i tre anni, frequentava un servizio per la prima infanzia, pubblico o privato, nell’anno educativo 2018/2019 e solo il 13,2 per cento dei bambini aveva accesso a nidi dell’infanzia e servizi integrativi a titolarità pubblica.
Le difficoltà nel mondo del lavoro
La Commissione europea sottolinea che le donne, che nel 2018 guadagnavano ancora in media il 14 per cento in meno degli uomini, continuano a farsi carico delle responsabilità di cura familiare e hanno difficoltà a entrare e rimanere nel mercato del lavoro, con conseguenze che si ripercuotono anche a livello pensionistico. Un quadro ulteriormente aggravato dalla crisi sanitaria.
Nel 2020, a causa della pandemia, sono stati persi 456mila posti di lavoro, dei quali 249mila svolti da donne. Tra il 2019 e il 2020, 96mila mamme con figli minori hanno perso il lavoro; quattro su cinque avevano figli con meno di cinque anni.
Secondo un’indagine svolta dal Politecnico di Milano, le donne hanno riscontrato maggiori criticità nello smart working rispetto agli uomini, anche a causa del maggior carico domestico e della difficile conciliazione tra vita privata e professionale. Altri studi, tra cui uno condotto dall’Università di Milano-Bicocca, rivelano che la didattica a distanza svolta dai figli ha comportato per le madri un impegno più oneroso.
Partorire ai tempi della Covid-19
Anche se mancano informazioni complete e omogenee, in base all’esperienza svolta sul campo dalle operatrici di Save the children le donne che hanno affrontato una gravidanza durante la pandemia si sono trovate a fronteggiare disagi come la riduzione dei controlli durante la gestazione, il divieto di avere il proprio partner alle visite e in sala parto, la chiusura dei servizi ospedalieri non sanitari con conseguente perdita di ogni tipo di supporto alternativo.
Siamo ancora lontani dall’uguaglianza di genere
In base all’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, se i progressi proseguiranno al ritmo attuale, serviranno ancora 60 anni per il raggiungimento della completa parità fra i sessi. Nel 2020 l’Italia si è posizionata al 14esimo posto nell’Ue. Un punteggio al di sotto della media, ma in netto miglioramento: secondo l’istituto, il nostro paese “avanza verso l’uguaglianza di genere a un ritmo più sostenuto rispetto ad altri stati membri”.
I dati contenuti nel report non fanno certo ben sperare, ma devono rappresentare uno sprone a migliorare, a continuare nella giusta direzione. Uno degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite è proprio la parità di genere: se vogliamo raggiungerlo entro il 2030, non dobbiamo correre, bensì volare. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza stanzia dei fondi per l’istruzione, ma è solo un primo passo. L’Italia deve anche impegnarsi a tener fede agli impegni presi firmando la Convenzione di Istanbul, per arrivare a proteggere tutte le donne e tutte le mamme.
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