“Finalmente si parte. Dopo otto anni di denunce sulla tragedia che viviamo tutti i giorni e un anno e mezzo di udienze preliminari di pochi minuti, i procuratori hanno finalmente chiesto il rinvio a giudizio dei responsabili. Oggi comincia davvero”. Esulta così Piergiorgio Boscagin, membro del direttivo regionale di Legambiente Veneto, al tribunale di Vicenza il 22 marzo. Dietro la mascherina gli occhi sorridono, sanno che la lotta per ottenere esami dell’acqua e del sangue, le minacce subite e la rabbia per la mancata bonifica sono serviti ad arrivare all’apertura del processo più grande per crimini ambientali in Italia.
I numeri del più grande processo italiano per crimini ambientali
Piergiorgio Boscagin è parte civile al processo contro l’industria chimica Miteni, polo industriale presente dagli anni Sessanta a Trissino nel vicentino. L’azienda è accusata di aver avvelenato le acque del torrente Poscola, di conseguenza la seconda falda più grande d’Europa e le reti acquedottistiche di un terzo del Veneto, con sostanze perfluoroalchiliche (Pfas).
Nel 2013 la Regione Veneto aveva ricevuto lo studio condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) in cui si allertava della presenza nelle acque di tre province venete – Padova, Vicenza, Verona – di questi composti. Sostanze considerate dal 2009 interferenti endocrini dalla Commissione europea e vietati dal 2001 in America per la loro tossicità per l’ambiente e per gli esseri viventi, i Pfas sono stati trovati nel Po dal 2008 e ad alta concentrazione nel vicentino. Nel Veneto industriale e conciario dove i Pfas vengono usati per lavorare le pelli, i tessuti impermeabili, le padelle e molti altri prodotti di vita quotidiana, 350mila persone hanno bevuto acqua di rubinetto contaminata per decenni.
Nelle ultime ricerche scientifiche si evidenzia come alcuni di questi Pfas comportino malattie degenerative del cervello, come il Parkinson, e alterino la risposta immunitaria, lo sviluppo del sistema nervoso o il metabolismo lipidico nelle vongole, ritenuti organismi sentinella per la contaminazione dell’ambiente.
Le aziende hanno nascosto l’inquinamento da Pfas
Le indagini dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Treviso (Noe) hanno evidenziato come le diverse società che dal 1966 hanno gestito la Miteni siano sempre state a conoscenza dell’avvelenamento delle acque di scarico, senza denunciare la contaminazione.
Il lavoro del Noe, condotto tra il 2016 e il 2019, ha dimostrato come le multinazionali Mitsubishi e International Chemical Investor tra il 2002 e il 2018, data del fallimento della fabbrica, avessero studiato questo tipo di inquinamento, cercato di nascondere la situazione ponendo una barriera idraulica insufficiente a filtrare le sostanze e lavorando dal 2014 altri Pfas ancora poco studiati e comprati dalla olandese Chemours e dalla piemontese Solvay.
Due indagini diverse confluite in un unico processo che porta il tribunale di Vicenza ad avere il procedimento più grande per reati ambientali, sia per numero di responsabili civili sia per parti civili. 15 accusati, 10 dirigenti stranieri tra Giappone e Lussemburgo e 5 amministratori italiani.
Chi sono le parti civili e gli accusati
Sono 15 i responsabili civili per avvelenamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta. Dall’altra parte oltre 230 parti civili, persone istituzioni e associazioni che dal 2013 lottano per avere acqua pulita dai Pfas.
Le oltre 230 parti civili rendono unico questo processo perché sono oltre 150 le singole famiglie presenti e due ministeri rappresentati dall’avvocatura di Stato. Ministero dell’Ambiente e della Salute infatti sono presenti per chiedere la bonifica del sito inquinato e il risarcimento delle spese sanitarie legate alla reazione della popolazione a questa contaminazione.
I responsabili civili confermati dal giudice dell’udienza preliminare, Roberto Venditti, sono i dirigenti delle diverse società che dal 2002 hanno prodotto sostanze chimiche nel polo industriale di Trissino, in provincia di Vicenza, e la società che ha gestito il fallimento della Miteni nel 2018.
I primi imputati sono i dirigenti della società giapponese Mitsubishi che gestirono il sito Miteni negli anni Duemila. I capi di imputazione contro l’industria automobilistica asiatica sono l’avvelenamento delle acque e di concorso al reato con aggravante perché Mitsubishi sapeva dell’inquinamento da sostanze chimiche dei corsi d’acqua vicini allo stabilimento, e della falda, e non ha denunciato né bonificato il danno. Le indagini del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri di Treviso dimostrano infatti come la società giapponese abbia chiesto e ottenuto di porre una barriera idraulica nel 2006 per bloccare l’ingresso dei Pfas nelle acque di scarico. Una strumentazione però non sufficiente a ripulire l’acqua né tantomeno controllata dagli organi regionali preposti al monitoraggio dei reflui industriali.
La società lussemburghese Icig, acquirente dello stabilimento con la spesa di un solo euro nel 2009, viene imputata dello stesso reato di avvelenamento delle acque. Società i cui vertici tedeschi sapevano della contaminazione perché al momento dell’acquisto erano stati informati dal laboratorio interno che lo stabilimento inquinava con sostanze pericolose. Sono accusati di disastro ambientale che ha provocato un rischio sanitario per la popolazione residente.
Gli altri imputati, cinque dirigenti italiani responsabili dei settori sicurezza e ambiente per lo stabilimento Miteni, sono accusati di non aver denunciato lo stato di inquinamento vista il loro ruolo come tutela dell’ambiente per la fabbrica.
Le prossime tappe di chi lotta dal 2013
I due pubblici ministeri Barbara De Munari e Hans Roderich Blattner lunedì 22 marzo hanno chiesto il rinvio a giudizio per gli imputati ottenendo come data il 13 aprile alle 10. Per quel giorno ci sarà la conferma del rinvio a giudizio per i responsabili civili e l’inizio della fase dibattimentale con le difese chiamate a rispondere dei reati imputati.
Nel frattempo le parti civili continuano a lavorare. Le quattro società idriche sono circa a metà dell’operazione di una nuova rete acquedottistica per i 21 comuni colpiti, un ritardo rispetto alla consegna dei lavori prevista entro il 2021. Dei quasi 90 milioni di euro promessi dallo Stato solo 48 milioni sono stati utilizzati, molti cantieri sono in fase ancora di progettazione.
Stanno inquinando, ma noi stiamo ancora combattendo
Le associazioni di cittadini stanno invece organizzando una grande manifestazione per fine aprile per aggiornare la popolazione sulla situazione processuale e di attuale inquinamento. Infatti manca ancora un progetto di bonifica del sito e della falda, malgrado ci sia un tavolo tecnico regionale aperto da quasi due anni.
Piergiorgio Boscagin però ricorda un importante punto ancora molto dolente: il collettore Arica creato per diluire l’inquinamento della zona industriale che collega tre fiumi e priva le coltivazioni dell’acqua necessaria. “Oggi abbiamo finalmente iniziato un grande processo, ma le nostre acque continuano a prendere e portare a valle Pfas e altri inquinanti con il canale costruito per ricevere le acque di cinque depuratori della zona industriale e immetterle in due fiumi puliti che portano verso il mare. Stanno ancora inquinando, noi stiamo ancora combattendo”.
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