È da venerdì 26 marzo, giorno del 50esimo anniversario della sua indipendenza, che il Bangladesh è scosso da violente manifestazioni di protesta. I cortei sono partiti dalla moschea più importante della capitale Dacca, dove hanno coinvolto anche gli studenti dell’università locale, per poi diffondersi a macchia d’olio in molti dei principali distretti del paese asiatico. Cinque dimostranti hanno perso la vita e centinaia di loro sono rimasti feriti negli scontri con la polizia.
I motivi della violenza
Le proteste sono dovute alla visita del primo ministro indiano Narendra Modi, che si è recato in Bangladesh per le celebrazioni legate all’anniversario e al centenario della nascita di Sheikh Mujibur Rahman, fondatore del paese oltre che padre dell’attuale presidente.
Decine di migliaia di manifestanti appartengono al gruppo islamista Hefazat-e-Islam e sono perlopiù studenti della scuola coranica. Le vittime, secondo quanto riporta l’emittente Al Jazeera, sarebbero proprio quattro membri del gruppo, rimasti uccisi nella città di Hathazari, e un loro sostenitore, morto a Brahmanbaria.
I militanti, che accusano il primo ministro indiano di “fomentare i sentimenti anti-islamici e discriminare i fedeli di Allah”, si oppongono anche alla Lega popolare bengalese, il partito attualmente al potere in Bangladesh. Insieme a loro hanno manifestato anche studenti di sinistra contro il “comunitarismo, l’autoritarismo e l’etno-nazionalismo” di Modi. Le sue politiche sono considerate discriminatorie nei confronti dei bangladesi, proprio come le relazioni fra Bangladesh e India.
Non è finita qui
Il governo bangladese ha ordinato lo stanziamento di alcune truppe della polizia di frontiera. Sono previste manifestazioni anche nella giornata di sabato 27 marzo e uno sciopero il giorno successivo in segno di protesta contro la repressione da parte degli agenti. L’utilizzo di Facebook è stato limitato, ha reso noto un portavoce dell’azienda.
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