Il 22 marzo si celebra la giornata mondiale dell’acqua. Il tema di quest’anno è il valore dell’oro blu. Inteso come i benefici che l’acqua può offrire ad una persona – siano essi servizi, come la salute, l’igiene, la felicità, il benessere psico-sociale – oppure come valore economico: la produttività che ne deriva da una corretta gestione, ad esempio. Valore che però nasce dal suo riconoscimento come bene comune, collettivo, di tutti. Un’urgenza importante vista la crescente corsa all’accaparramento da parte di soggetti privati. Una corsa all’oro blu, dovuta alla scarsità del bene, causata da inquinamento delle falde, cambiamenti climatici che ne riducono la disponibilità in alcune regioni, aumento della domanda da parte dell’industria globale. Sempre più attori si buttano dunque nel mercato per sfruttare l’acqua come valore meramente monetario. Puntando a privatizzare la risorsa.
In California l’acqua diventa un asset finanziario
A a fine 2020 per la prima volta è stato annunciato da Cme group, società tecnologica globale al servizio dei mercati dei capitali, un nuovo contratto futures sulla piazza finanziaria Nasdaq California, il Water index (NQH2O). Di fatto, per la prima volta l’acqua diventa un bene finanziario, una commodity, al pari del petrolio o dell’oro, con possibili operazioni di speculazione, anche rischiose sul prezzo del bene, e con impatti diretti su contratti e tariffe dell’acqua.
Secondo il Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’acqua, Pedro Arrojo-Agudo, questa notizia desta grave preoccupazione. L’acqua non può essere scambiata, come una qualsiasi altra merce, nel mercato dei futures delle Borse internazionali. A questo scopo nel nostro paese il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha lanciato una petizione per chiedere al governo italiano di prendere ufficialmente posizione contro la quotazione dell’acqua in Borsa e di approvare al più presto la proposta di legge “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque”, in discussione presso la Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati, riportando per altro le competenze sulle acque da Arera (Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente) al ministero della Transizione ecologica.
Il prezzo giusto per un bene comune
Un altro dei grandi temi è quello del prezzo giusto. Molto spesso, in Italia c’è la percezione di pagare troppo il servizio idrico. Eppure in media le famiglie italiane spendono oltre cento euro l’anno per bere acqua in bottiglia, spesso in comuni dove la qualità dell’acqua di rubinetto è eccellente.
Ma gli esperti insegnano: pagare l’acqua troppo poco significa non investire in ammodernamento delle tubature, resilienza delle infrastrutture e in trasformazione dei depuratori per sfruttare i reflui e trarne materiali e biogas. Senza però dimenticarsi di garantire a tutti i cittadini un equo accesso, includendo in particolare i soggetti economicamente più fragili. Oggi in Italia servono tariffe più elevate (siamo disposti a pagare di più per cibo sano, ma non per l’acqua?) e meccanismi di tutela per garantire il diritto all’accesso a questo bene. Una soluzione potrebbe essere riconvertire la spesa inutile di acqua in bottiglia, per sostenere la tariffa idrica.
Guardando all’Europa (usando un database realizzato da Holidu), il Paese con il costo dell’acqua del rubinetto più alto oggi è la Norvegia: ad Oslo un metro cubo di acqua arriva a costare fino a 5,51 euro. Il più basso invece è in Arabia Saudita, dove grazie ai sussidi statali costa 0,03 euro, nonostante il paese presenti uno stress idrico molto alto ed abbia investito importanti risorse in processi di desalinizzazione. Sono i petrodollari a pagare per l’infrastruttura. In Norvegia, invece, sono i cittadini a pagare per un servizio tra i migliori in Europa.
In Italia ci sono molte sfaccettature. Milano paga solo 0,40 euro al metro cubo (il 77 per cento in meno rispetto alla media globale): la tariffa più bassa delle città europee. Un prezzo caratterizzato dall’ampia disponibilità della falda e dall’ottima gestione dei gruppi milanesi MM e Gruppo Cap. La città più cara? Firenze, dove un cittadino arriva a pagare 1,90 euro per ogni metro cubo. Al Sud è Napoli, con un costo medio di 1,29 euro, a presentare la bolletta più salata. Ma secondo fonti che abbiamo potuto raccogliere, la media italiana è di circa 2,08 euro per metro cubo, a causa dei costi più alti di gestione soprattutto al Sud e nelle aree rurali e montane dove la manutenzione dell’infrastruttura ha tariffe più alte. In ogni caso la media italiana si ferma a poco più della metà rispetto alla tariffa francese pari a 3,67 euro/m3 e il 40 per cento di quella tedesca di 4,98 euro/m3.
L’acqua in bottiglia e il primato negativo dell’Italia
L’Italia è inoltre primo paese in Europa per consumi di acqua minerale in bottiglia, e il secondo al mondo: 200 litri pro capite annui, mentre la media dei Paesi europei è di 118 litri. Tale abitudine provoca degli effetti sulla sostenibilità ambientale: a livello globale si consumano circa otto miliardi di bottiglie di plastica ogni anno (di cui solo un terzo riciclabile), il 17 per cento del totale in Europa, con una fetta rilevante proprio dell’Italia. Acqua che purtroppo, costando anche relativamente poco, viene acquistata in grandi quantità. I prezzi più salati sono in Norvegia dove una bottiglia economica costa 1,52 euro e una bottiglia di Perrier al supermercato costa 2,48 euro. Ma nemmeno negli Stati Uniti si scherza, visto che al ristorante è la normalità portare acqua in caraffa e in un negozietto di quartiere di New York una bottiglia da 0,5 litri di Evian costa 3,23 euro e una bottiglia di acqua “low cost” a Los Angeles non la si paga meno di 1,27 euro. In Italia purtroppo sono disponibili acque in bottiglia ai prezzi più bassi del mondo.
A Napoli con 0,10 euro si può acquistare al dettaglio una bottiglia da mezzo litro, 0,12 a Milano. Prezzi simili a quelli di città come Bangalore, Il Cairo, Accra o Kuala Lumpur. Persino la Perrier a Napoli arriva a costare poco di più che a Marsiglia (0,40 euro). Difficile capire le ragioni delle scelte ideologiche dei consumatori italiani. Poca fiducia nei gestori, investimenti ingenti dei signori dell’acqua in bottiglia in marketing, ricerca di “gusto” in un prodotto per definizione insapore. Certo è che se investissimo domani tutti i soldi che buttiamo in acqua in bottiglia per rendere più efficiente la nostra rete idrica, daremmo a tutti i cittadini accesso ad acqua di qualità, sicura e abbondante. Senza spaccarci la schiena sulle scale con i faldoni di acque in bottiglia di plastica.
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