Quando si parla di transizione energetica si parla anche di idrogeno verde. L’interesse verso sue le potenzialità è ormai alto, ma sembra che il suo utilizzo sia particolarmente favorito dal momento storico. Si respira a livello nazionale ed europeo la volontà politica, istituzionale, industriale di accelerare il passaggio a economie più sostenibili attente all’uso e al consumo di risorse, all’impatto sull’ambiente e sulle persone.
Per iniziare a conoscere l’idrogeno verde bisogna sapere che cos’è. Chiariamo subito che non è una fonte di energia, ma un vettore. Ciò significa che non è presente in natura, se non legato ad altri elementi come l’acqua, ma deve essere prodotto da altre fonti energetiche. Per capire meglio come potrà svolgere un ruolo davvero strategico nella decarbonizzazione delle nostre società occorre capire come può essere prodotto l’idrogeno verde e quali possono essere i suoi impieghi.
Come si produce l’idrogeno
L’idrogeno può essere prodotto in molti modi e ad ognuno corrisponde una quota diversa di emissioni. Di seguito un vocabolario utile:
- idrogeno prodotto con l’elettricità o a basso tenore di carbonio (electricity based hydrogen o low carbon hydrogen): in questo caso l’idrogeno è ottenuto dall’acqua tramite elettrolisi usando elettricità. Se l’energia è prodotta da fonti rinnovabili si parla di idrogeno rinnovabile o idrogeno pulito (renewable hydrogen o clean hydrogen). In quest’ultimo caso, le emissioni di gas serra sono prossime allo zero. L’idrogeno pulito è anche ottenuto con il reforming del biogas, ossia quando si ottiene un miscuglio gassoso di ossido di carbonio e idrogeno dalla trasformazione di un idrocarburo dall’elevato potere calorifico. Infine, attraverso la conversione biochimica delle biomasse;
- idrogeno prodotto da fonti fossili (fossil based hydrogen): indica la produzione di idrogeno da combustibili fossili, tramite il reforming del gas naturale o la gassificazione del carbone;
- idrogeno prodotto da fossili con cattura di carbonio o a basso tenore di carbonio (fossil-based hydrogen with carbon capture o low carbon hydrogen): se al procedimento descritto sopra si abbina un sistema per la cattura fino al 90 per cento del carbonio;
- combustibili sintetici derivati dall’idrogeno (hydrogen-derived synthetic fuels): si tratta dei combustibili sintetici derivati dall’idrogeno, come il kerosene sintetico per l’aviazione, il diesel sintetico per le auto o ancora varie molecole usate nella chimica e nei fertilizzanti.
Convenzionalmente, si usano i termini idrogeno verde, blu e grigio per indicare, rispettivamente, l’idrogeno prodotto da energie rinnovabili, con la cattura di carbonio e da combustibili fossili.
Perché l’Unione europea punta sull’idrogeno
Questo vettore è considerato dalla Commissione europea un pilastro della ripartenza economica sostenibile dalla Covid-19. Non solo, è ritenuto un fattore chiave nel percorso di transizione energetica per il rispetto degli impegni assunti nel 2015 con la firma dell’Accordo di Parigi e il raggiungimento della neutralità climatica al 2050, ossia l’equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio. Nel Global Renewable Outlook 2020, Irena stima che per raggiungere i target fissati dall’Accordo di Parigi l’8% dell’energia consumata sul pianeta dovrà essere prodotta con l’idrogeno.
L’esecutivo europeo ha lanciato l’8 luglio 2020 la Strategia europea sull’idrogeno. Nel documento scrive “The time to act is now”, “il momento di agire è ora”, e chiarisce perché abbiamo bisogno dell’idrogeno. Innanzitutto, ne palesa la versatilità di utilizzo: come materia prima, carburante o per immagazzinare energia. Esplica poi le potenzialità applicative: dai trasporti alla produzione decentralizzata di energia passando per l’uso nei processi industriali, come quelli ad alto consumo energetico dell’acciaio o della chimica, i cosiddetti “hard to abate”.
Attualmente il vettore copre una fetta esigua del mix energetico europeo che per la maggior parte è prodotto da fonti fossili, gas naturale e carbone. Secondo le stime contenute nell’Hydrogen roadmap Europe del 2019, stilata dalla Fuel cells and hydrogen joint undertaking (Fch Ju), partnership pubblico-privata a supporto delle attività di ricerca e sviluppo nel campo delle celle a combustibile e all’idrogeno, la crescita di questo vettore potrebbe creare in Europa entro il 2050 1 milione di posti di lavoro, diretti e indiretti, nell’ambizioso scenario di un consumo pari a 665 terawattora (TWh). Complessivamente, sono previsti investimenti sino a 180-470 miliardi di euro in idrogeno verde e sino a 3-18 miliardi in idrogeno blu. Per arrivare a soddisfare il 24 per cento della domanda di energia da qui ai prossimi trent’anni.
Idrogeno verde, 3 fasi per la crescita
Perché ricopra un ruolo davvero strategico nel percorso di transizione energetica, la sua produzione dovrà avvenire tramite energia rinnovabile. Il vero obiettivo, dunque, è di incrementare la produzione dell’idrogeno verde. A tal fine, raccomanda l’esecutivo europeo, bisognerà sviluppare progetti su larga scala, di ampia portata, così da ridurne il costo di produzione e renderlo più conveniente.
Per costruire un ecosistema dinamico, la Commissione espone propone una crescita in tre fasi:
- prima fase: installare 6 GW di elettrolizzatori entro il 2024 e produrre fino a 1 milione di tonnellate di idrogeno verde;
- seconda fase: installare 40 GW di elettrolizzatori entro il 2030 e produrre fino a 10 milioni di tonnellate;
- terza fase: grazie allo sviluppo di progetti su larga scala, l’idrogeno verde dovrebbe raggiungere la maturità tra il 2030 e il 2050, contestualmente alla massiccia produzione di energia rinnovabile.
Ora è il tempo di agire
Le applicazioni dell’idrogeno
Per accelerare la ricerca e l’applicazione delle tecnologie a idrogeno, saranno costruite le cosiddette hydrogen valleys, nome che richiama quello della famosissima silicon valley. Si tratta di aree geograficamente delimitate che sorgeranno in tutto il mondo per implementare e testare un’infrastruttura dedicata all’alimentazione dei trasporti, al riscaldamento residenziale e industriale, al bilanciamento della rete.
Nel breve periodo, l’idrogeno potrà trovare facile applicazione nelle raffinerie, nelle industrie energivore, ad esempio dell’acciaio o dei prodotti chimici, nel trasporto marittimo e pesante, su gomma o su ferro. Per le celle a combustibile a idrogeno bisognerà aspettare, ma sia il programma di finanziamento Horizon Europe che il Fuel cell and hydrogen joint undertaking mirano ad accelerare il primato tecnologico dell’Europa.
Trasporto e accumulo
L’idrogeno può essere trasportato puro o miscelato, in forma gassosa o liquida, lungo la rete del gas o con camion o navi che attraccano a terminali Gnl. La miscelazione, va precisato, diminuisce il valore dell’idrogeno e modifica anche la qualità del gas naturale consumato. Rischia poi di frammentare il mercato se si accettano standard diversi nella progettazione dell’infrastruttura e nelle applicazioni per l’utente finale. D’altro canto, al momento è la soluzione più conveniente: prevede la riconversione dell’infrastruttura del gas per poter distribuire, immagazzinare ed erogare grandi volumi di idrogeno, potenzialmente sulle lunghe distanze.
Può essere immagazzinato per coprire i picchi di domanda e garantire l’approvvigionamento sicuro di energia. Oltre che per dare flessibilità alla rete e favorire il cosiddetto sector copuling, ossia l’integrazione tra le reti dell’elettricità e del gas. Disegnare l’infrastruttura per il passaggio di idrogeno sarà possibile solo dopo l’analisi del tipo di produzione, della domanda e dei costi di trasporto, anche alla luce della revisione attualmente in corso della regolazione sulle reti transeuropee per l’energia (Ten-E).
Rendere l’idrogeno verde conveniente
L’idrogeno verde, per essere maggiormente utilizzato, dovrà diventerà più conveniente. Oggi non lo è: costa tra i 2,5 e i 5,5 euro al chilo a fronte dei 2 euro al chilo di quello blu e di 1,5 euro di quello grigio. I valori sono riportati nel rapporto Future of hydrogen dell’Agenzia internazionale dell’energia (International energy agency, Iea) e sono basati su un costo dell’elettricità tra 35 e 87 euro al megawattora (MWh).
Il prezzo dell’idrogeno rinnovabile scenderà se aumenterà la produzione attraverso gli elettrolizzatori.Riuscire a calibrare gli investimenti dei soggetti privati sarà dunque prioritario. Impegnati in tal senso sono i 190 amministratori delegati delle altrettante aziende di fama mondiale che fanno parte dell’International hydrogen council e i moltissimi rappresentanti di istituzioni, industrie, società civili che aderiscono all’Alleanza europea per l’idrogeno pulito (Clean hydrogen alliance), lanciata lo stesso giorno della Strategia per attuarne gli obiettivi.
Nell’Unione europea oggi circa 280 aziende, per il 60 percento piccole e medie imprese, lavorano alla produzione e alla fornitura di elettrolizzatori, e più di 1 gigawatt (GW) sono in cantiere. La capacità di produzione europea totale è attualmente inferiore a 1 GW all’anno. La volontà dell’industria europea è di raggiunge 40 GW di elettrolizzatori entro il 2030 in Europa e altrettanti nelle aree di esportazione in Ue.
Uno studio interno dell’esecutivo europeo, Hydrogen generation in Europe: Overview of costs and key benefits, spiega che entro il 2030 la costruzione di elettrolizzatori dovrà assorbire tra i 24 e 42 miliardi di euro. Questi dovranno essere connessi a 80-120 GW di capacità produttiva da eolico e solare fotovoltaico con ulteriori 220-340 miliardi di euro. 11 miliardi serviranno per retrofitting, termine tecnico per adeguamento, degli impianti con sistemi di cattura e storage di carbonio. Altri 65 miliardi saranno destinati al trasporto, alla distribuzione e allo stoccaggio del vettore. L’installazione di 400 nuove stazioni di rifornimento, rispetto alle circa 100 esistenti oggi, potrebbe richiedere risorse comprese tra gli 850 e i 1.000 milioni di euro.
Stimolo alla domanda
All’aumento dell’offerta di idrogeno rinnovabile la Commissione europea vuole far corrispondere un aumento della domanda. Questa richiederà un’ampia disponibilità di materie prime, in accordo con il Piano d’azione per le materie prime critiche (Raw materials action plan) che vuole ridurre la dipendenza dell’Europa dai paesi terzi e diversificarne l’approvvigionamento. E richiederà l’implementazione del nuovo Piano d’azione per l’economia circolare (Circular economy action plan), per stimolare un modello economico più circolare e rispettoso dell’ambiente e della salute umana.
Saranno dunque necessarie politiche di supporto. L’esecutivo sta prendendo in considerazione varie opzioni, tra cui l’introduzione di quote minime di idrogeno rinnovabile, o dei suoi derivati, in specifici settori. Oppure l’adozione di una soglia o uno standard comune sulle emissioni di carbonio per promuovere la produzione di idrogeno a basso o nullo impatto.
Un quadro politico di supporto troverà terreno fertile nella direttiva europea sulle rinnovabili e nell’Emission trading system, il sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’Unione. A questi si aggiungono il 2030 climate target plan, il piano per abbattere del 55 per cento le emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli pre-industriali, e la Industrial policy, la trama della strategia industriale. Pronti a sostenerlo ci saranno gli strumenti finanziari del Next generation eu.
Nel complesso, questa struttura normativa così articolata vuole offrire un sostegno differenziato, tenendo conto del tipo di idrogeno prodotto, alla maturità tecnologica dei singoli Stati membri. Senza dimenticare di garantire l’interoperabilità dei mercati dell’idrogeno puro, per i quali potrebbero essere necessari regole operative transfrontaliere o standard di qualità comuni, riguardo purezza o soglie per i contaminanti.
Garanzia di origine dell’idrogeno rinnovabile
A giugno 2020 l’Unione europea lancerà uno schema per la certificazione e la garanzia di origine dell’idrogeno prodotto con energia rinnovabile. L’annuncio della commissaria europea all’energia Kadri Simson, durante l’evento digitale dello scorso 12 febbraio “Conferenza sull’idrogeno dell’Europa centrale ed orientale”, conferma gli impegni assunti finora. A giugno sono attese anche alcune delle misure del Fit for 55, pacchetto con cui l’Europa punta a ridurre del 55 per cento al 2030 le emissioni di gas serra, tra i pilastri del green deal europeo.
La cassetta degli attrezzi degli stati membri
Quasi tutti gli Stati membri hanno incluso l’idrogeno nel proprio Piano nazionale energia e clima (Pniec), con cui stabiliscono gli obiettivi su efficienza energetica, fonti rinnovabili e riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Utile in tal senso la condivisione di idee sulla piattaforma HyNet messa a punto dalla direzione generale Energia dell’esecutivo europeo.
Per 14 nazioni l’idrogeno è una soluzione cui guardare per le infrastrutture alternative. 26 hanno firmato il documento di indirizzo politico Hydrogen Initiative, durante la riunione informale dei ministri dell’Energia svoltasi a Linz, Austria, già nel settembre 2018.
Dal 2021 al 2027 potranno beneficiare delle risorse messe in campo con l’European regional development fund e il Cohesion fund, che stimolano trasferimento tecnologico, partnership pubblico-private e progetti pilota per sviluppare soluzioni innovative nel campo delle rinnovabili e dell’idrogeno a basso tenore di carbonio.
L’idrogeno, in conclusione, offrirà una grande opportunità per risollevare la salute dell’Unione europea e stringere alleanze per diversificare e assicurare l’approvvigionamento di energia. Tra i possibili partner figurano Australia, Canada, Norvegia, Sud Corea e, soprattutto, Nord Africa per via della vicinanza geografica e del suo ricco potenziale in termini di crescita delle tecnologie rinnovabili. Senza dimenticare l’innovazione promossa in Giappone o negli Stati Uniti, ad esempio. Essendo l’idrogeno un mercato nascente, la Commissione svilupperà un sistema per le transazioni in euro sull’idrogeno, contribuendo così a consolidare il ruolo della moneta nel commercio di energia sostenibile.
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