Un’inchiesta dell’emittente inglese Bbc ha rivelato che la Cina starebbe testando sulla minoranza musulmana degli uiguri sistemi di videosorveglianza in grado di riconoscere le emozioni. Le telecamere sarebbero installate in alcuni commissariati di polizia e l’organizzazione non governativa Human rights watch ha definito “scioccante” la procedura, tanto a livello etico quanto per i metodi coercitivi con cui verrebbe messa in atto. Si tratta di un nuovo, ennesimo filo della fitta ragnatela di controllo messa in atto da Pechino nella regione, dove viene tracciato quasi ogni movimento e azione della minoranza musulmana.
Come topi in laboratorio
Come fossero topi. Non usa mezzi termini l’ingegnere interrogato dalla Bbc, che ha chiesto di restare anonimo, quando racconta i test emozionali delle autorità cinesi sugli uiguri dello Xinjiang. In alcune stazioni di polizia sarebbero state installate telecamere all’avanguardia che richiamano la serie tv Lie to me e sono in grado di riconoscere e mappare i sentimenti delle persone, tradotti poi in grafici a torta dove ogni colore corrisponde a un’emozione. L’ingegnere ha fornito alla rete inglese la documentazione relativa ad alcuni degli uiguri testati ed è entrato nel dettaglio del metodo di esecuzione.
Le persone verrebbero legate a delle sedie con fili di metallo, così da bloccarle a circa tre metri dai sistemi di videosorveglianza e permettere a questi ultimi di fare il loro lavoro senza impedimenti. La tecnologia riuscirebbe a cogliere il cambiamento delle espressioni ogni minuto, con un’analisi che riguarderebbe anche i pori della pelle. L’obiettivo dello sviluppo di questa tecnologia è di approfondire ulteriormente il controllo sulla minoranza musulmana dello Xinjiang, composta da circa 12 milioni di persone, così da sorvegliare nel minimo dettaglio i soggetti considerati più sensibili. L’ambasciata cinese a Londra ha negato l’esistenza di test emozionali di questo tipo, mentre Sophie Richardson, direttrice di Human rights watch in Cina, ha detto che ci troviamo di fronte a materiale molto problematico e scioccante.
La sorveglianza tecnologica nello Xinjiang
Le videocamere per cogliere le emozioni degli uiguri si inserirebbero in un parco di strumenti di controllo da parte di Pechino che è già molto ampio. La vita nello Xinjiang da ormai sei anni, quando le autorità cinesi hanno iniziato la loro offensiva sulla regione con la scusa dei movimenti separatisti, è infatti una sorta di Grande Fratello.
Ogni dettaglio della vita degli uiguri è sottoposto a verifica. Sugli smartphone viene fatta installare un’app che consente di seguire i loro spostamenti e di intercettare chiamate e messaggi in entrata e in uscita. Le vie delle città e delle campagna sono costellate di videocamere che identificano i numeri di targa e il volto dei guidatori. Perfino le visite in casa sono sottoposte a controllo, con la videosorveglianza che monitora il via vai di persone, l’obbligo di presentare richiesta alle autorità e una finestra temporale prestabilita per la visita, come ci aveva raccontato Dolkun Isa, il più importante attivista uiguro ora in esilio in Germania. Anche ristoranti, negozi e moschee sono sorvegliati, sempre per poter identificare i consumatori, mentre Pechino utilizza perfino droni-uccello per filmare la quotidianità nello Xinjiang.
La motivazione ufficiale di Pechino alla base di questo asfissiante controllo, a cui contribuiscono consapevolmente aziende multinazionali come Huawei, sta nel prevenire l’attività terroristica dei gruppi separatisti locali, una manciata di persone contro una popolazione uigura di 12 milioni di persone. In realtà le autorità cinesi vogliono silenziare ogni dissenso, annullare le rivendicazioni e le possibili opposizioni locali, attraverso la deterrenza data dai sistemi di videosorveglianza. Uno dei tanti mezzi attraverso cui Pechino sta mettendo in atto il genocidio culturale del popolo uiguro.
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