In Italia tira una brutta aria, soprattutto nelle città che restano soffocate dallo smog, che secondo il campione analizzato da Legambiente nel rapporto Mal’aria di città, sono la maggioranza. Non è un caso, quindi, che il nostro Paese sia già stato condannato dalla Commissione Europea, e sia ancora sotto procedura di infrazione per la violazione della Direttiva Europea 2008/50 sulla qualità dell’aria ambiente per tre inquinanti: il particolato PM10 e PM 2,5 insieme al biossido di azoto (NO2). Poco hanno potuto, finora, i vari protocolli antismog e i piani regionali. Eppure di inquinamento atmosferico ci si ammala e si muore. L’Italia è uno dei Paesi che sta pagando il prezzo peggiore, in termini di vite umane, con oltre 76 mila morti l’anno. Perdite che si sommano a quelle causate dal coronavirus.
Legambiente e il rapporto Mal’aria di città
Ma ci sono delle realtà virtuose, dove si respira meglio? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente e curatore del Rapporto Mal’Aria in città. “Mai come in questo anno di pandemia, il tema ambiente e salute è stato correlato alla qualità dell’aria, anche a causa del Covid. Intanto, bisogna considerare che sono tanti i fattori di emissione nelle nostre aree metropolitane. Senza dimenticare il mix determinato dalle condizioni geografiche, climatiche e meteorologiche che favoriscono o non favoriscono la dispersione degli inquinanti”, ci ribadisce.
Anche per questo Legambiente che stila annualmente la classifica delle città fuorilegge per avere superato i limiti giornalieri previsti per le polveri sottili, ha anche stilato una speciale graduatoria che offre una visione più ampia. Andando ad individuare anche con la qualità dell’aria in base alle medie annuali di più inquinanti, confrontandola con i valori indicati dalle linee guida dell’Organizzazione mondiale per la sanità che sono ancora più stringenti.
Secondo le linee guida dell’Oms, solo il 15 per cento delle città analizzate ha una buona qualità media dell’aria
“Proprio per questo abbiamo deciso di analizzare le concentrazioni medie annue dei tre parametri marker dell’inquinamento atmosferico. Le polveri sottili (PM10 e PM 2,5) e il biossido di azoto (NO2). Lo abbiamo fatto su un arco temporale di 5 anni (dal 2014 al 2018) e li abbiamo messi a raffronto con rispettivi limiti previsti dall’Oms”, ci spiega Andrea Minutolo.
Per la normativa europea, le polveri sottili e il biossido di azoto non devono superare la media annuale dei 40 microgrammi per metro cubo. Mentre l’Oms raccomanda che a tutela della salute il PM10 non debba superare i 20 microgrammi per metro cubo di media annuale. E che il PM 2,5, ancora più pericoloso per i nostri polmoni, non debba superare i 10 microgrammi per metro cubo di media annuale. Entrambi, infatti, sono cancerogeni certi e l’esposizione dovrebbe essere la minore possibile.
Dall’elaborazione è stata elaborata una classifica, che svela una realtà amara. “Solo il 15 per cento delle 97 città del nostro campione ha raggiunto nei 5 anni un ‘voto’ sufficiente, frutto quindi del ‘rispetto’ o ‘mancato rispetto’ del limite previsto per ciascun parametro”, sottolinea il responsabile scientifico di Legambiente.
Sassari e Macerata sono le città in cui si respira meglio: promosse con il 9 da Legambiente
In testa alla speciale classifica delle città in cui si respira meglio abbiamo Sassari (voto 9), seguita da Macerata (voto 8). A pari merito in terza posizione ci sono Enna, Campobasso, Catanzaro, Nuoro, Verbania, Grosseto e Viterbo (voto 7). In quarta posizione invece L’Aquila, Aosta, Belluno, Bolzano, Gorizia e Trapani (voto 6). Dall’elaborazione dei dati ufficiali forniti dalle Arpa di Legambiente, Sassari dal 2014 al 2018 ha sempre rispettato i limiti previsti dall’OMS per le polveri sottili (Pm10 e Pm2,5) e per il biossido di azoto (NO2) ad eccezione degli ultimi 2 anni in cui solo per il Pm10 il valore medio annuo è stato di poco superiore al limite Oms.
Idem per la città di Macerata che pur avendo sempre rispettato nei 5 anni i limiti, non ha dati a supporto per il Pm2,5, dal 2014 al 2016. “Per le altre città sopra la sufficienza, pur avendo spesso rispettato i limiti suggeriti dall’Oms spesso mancano i dati per alcuni periodi temporali” spiega il responsabile scientifico di Legambiente. Anche una raccolta dati efficiente e la loro pubblicazione è un fattore importante per tutelare la salute dei cittadini. “Bisognerebbe comunque garantire il monitoraggio ufficiale in tutte le città di tutti quegli inquinanti previsti dalla normativa e potenzialmente dannosi per la salute”, sottolinea nel rapporto.
L’aria più inquinata è a Torino, Roma, Palermo, Milano e Como. Bocciato l’85 per cento delle città
Intanto però ben l’85 per cento delle città analizzate sono rimaste sotto la sufficienza. Ultime in classifica le città di Torino, Roma, Palermo, Milano e Como. “Fanalini di coda perché nei cinque anni considerati non hanno mai rispettato nemmeno per uno solo dei parametri il limite di tutela della salute previsto dall’Oms” sottolinea Minutolo.
Secondo Legambiente, in generale, la stragrande maggioranza delle città ha difficoltà a rispettare i valori limite per la salute, specie per il particolato. Solo il 20 per cento delle 97 città analizzate nei cinque anni ha avuto una concentrazione media annua inferiore a quanto suggerito dall’OMS di Pm10. Percentuale che scende drasticamente al 6 per cento per il Pm2,5 ovvero le frazioni ancora più fini e maggiormente pericolose per la facilità con le quali possono essere inalate dagli apparati respiratori delle persone.
Bisogna agire su tutte le emissioni inquinanti, a partire dal traffico viario
Mentre è più elevata la percentuale delle città, ben l’86 per cento, che è riuscita a rispettare il limite previsto dall’Oms per il biossido di azoto (NO2). “Le auto ed il traffico sono al centro del problema nelle città. Poi ci sono i casi particolari di grandi zone industriali o portuali prossime alle aree urbane e residenziali. Bisogna guardare la composizione delle polveri sottili. Oltre la quantità bisogna anche analizzare la qualità. Ad Aosta come a Taranto, Terni, Vicenza, ad esempio città con acciaierie è il black carbon contenuto nelle micropolveri fa la differenza anche dal punto di vista sanitario” sottolinea Minutolo.
Intanto, ribadisce Legambiente, gli studi delle autorità e del mondo scientifico confermano che la sfida dell’inquinamento nelle città parte nella riduzione del traffico veicolare, accompagnato da misure strutturali che vadano ad incidere anche su settori come l’agricoltura, il riscaldamento domestico e le industrie. Tutte attività antropiche che hanno una forte incidenza in termini di emissioni anche nelle aree esterne alle città, su una scala regionale. Nel frattempo l’Oms, ci anticipa Andrea Minutolo, sta preparando nuove linee guida ancora più stringenti sugli inquinanti più pericolosi.
L’inquinamento dell’aria non è un problema stagionale. In estate tornerà anche l’ozono
“Avvicinandosi l’estate il problema dell’inquinamento non è risolto. Con l’effetto dell’aumento della temperatura aumenterà la concentrazione di ozono. La sua diffusione è la cartina di tornasole dell’inquinamento di base”, sottolinea il responsabile scientifico di Legambiente. “E paradossalmente dalle rilevazioni emerge che sono le aree rurali ad avere concentrazioni di ozono più alte. Perché se le città inquinano, i gas si disperdono nell’ambiente. Ma, mentre nelle aree urbane l’ozono si ricombina con gli altri gas, man mano che ci si allontana dalle città, nelle zone meno inquinate, non avendo la possibilità di legarsi ad altri inquinanti aumenta la sua concentrazione, diventando pericoloso. Nel caso dell’inquinamento da ozono chi risulta danneggiato non è il produttore dell’inquinamento”. Anche alla luce di queste valutazioni, il problema inquinamento atmosferico in città non è “solo” un problema stagionale. Come conferma a LifeGate anche il metereologo di 3B Meteo, Paolo Corazzon.
Le politiche delle singole città non bastano, bisogna fare sistema
Come uscire da questa impasse? Oltre alle singole azioni quotidiane, che ognuno di noi può compiere, occorrono azioni politiche congiunte che escano dai confini regionali, ribadisce Minutolo. “Altrimenti si corre il rischio di Milano. Città che ha messo in campo molte strategie, dal potenziamento del trasporto pubblico, alle piste ciclabili alle varie Aree a circolazione limitata. Ma non si vedono risultati. Anche perché Milano è al centro della pianura padana, nel cuore dell’attività industriale e agricola e dell’area metropolitana”.
Occorre, quindi, un’azione congiunta tra comuni, regioni e Stato. “Ogni intervento pubblico dovrebbe essere mirato e collegato, e deve tenere conto di tutti i fattori emissivi. Dal trasporto pubblico al privato, al riscaldamento, all’agricoltura, alle industrie”. A partire dal bacino padano, il più inquinato d’Italia. Conclude il responsabile scientifico di Legambiente: “Vanno messe in campo politiche davvero di ampio respiro e nel lungo periodo. A partire da ora”. Chissà se nel Piano di Ripresa e Resilienza ci saranno le risorse per farlo.
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