Chi ha cuore le sorti dell’ambiente, e in particolare del mare, ha accolto la notizia come una rivoluzione. Con la direttiva europea sulla plastica monouso, l’Unione europea vieta la vendita di una lunga serie di prodotti in plastica usa e getta, come posate, piatti e cannucce. L’iter legislativo è iniziato nel 2018, ha incassato lo storico “sì” del Parlamento il 21 maggio 2019 e ora arriva al suo pieno compimento. A partire dal 3 luglio 2021, infatti, tutti e 27 gli stati membri dovranno mettere in pratica la direttiva. Italia compresa.
Quali prodotti saranno vietati dalla direttiva europea sulla plastica monouso
Dal 3 luglio in poi, determinati articoli usa e getta fatti di plastica non potranno più essere messi in commercio, visto che il mercato offre svariate alternative economicamente accessibili. Ecco l’elenco riportato dalla Commissione europea:
- Bastoncini cotonati. Su questo fronte l’Italia si è mossa in anticipo, visto che già dal 2019 possono essere messi in commercio solo i cotton fioc in materiale biodegradabile e compostabile, indicando chiaramente nella confezione le istruzioni per il loro corretto smaltimento.
- Posate e piatti.
- Cannucce.
- Mescolatori per bevande.
- Aste per palloncini.
- Tazze.
- Contenitori per alimenti e bevande in polistirene espanso.
Quali prodotti monouso saranno ancora in commercio
Altri articoli resteranno liberamente in vendita:
- Bicchieri. Nella direttiva non c’è traccia dei bicchieri in plastica usa e getta: ciò significa che saranno ancora in vendita in tutti i paesi dell’Unione.
- Mascherine e guanti. Via libera a tutti i dispositivi di protezione individuale largamente impiegati a causa dell’emergenza sanitaria in corso.
- Palloncini. Solo le aste saranno vietate, ma alle feste si potranno comunque usare i classici palloncini.
- Carta plastificata. Le linee guida pubblicate a maggio vietavano anche gli imballaggi plastificati, con un contenuto di polimero inferiore al 10 per cento. Dopo essersi confrontato con il ministro italiano della Transizione ecologica Roberto Cingolani, però, il vicepresidente esecutivo per il Green deal europeo Frans Timmermans si è impegnato a “salvarli”.
- Esaurimento scorte. Se nei prossimi mesi qualcuno noterà ancora confezioni di piatti e bicchieri in plastica esposte negli scaffali dei supermercati, sarà tutto nella norma: la messa in commercio è consentita fino a esaurimento scorte.
Etichette e altre strategie per un consumo più responsabile
In realtà il testo della direttiva europea sulla plastica monouso è dettagliatissimo e disciplina molti altri prodotti. In questi casi, invece di un divieto vero e proprio, impone misure volte a scoraggiare il loro uso o – quantomeno – smaltirli correttamente quando diventano rifiuti.
- Riduzione del consumo. Alcuni prodotti – come i contenitori per alimenti – formalmente restano permessi, ma gli stati membri dovranno disincentivarli. Ciò significa, per esempio, impedire che siano offerti gratuitamente e mettere a disposizione alternative riutilizzabili.
- Marcatura. Sulla confezione di alcuni prodotti bisognerà comunicare la presenza di plastica, spiegando al consumatore come smaltirla correttamente. Questa disposizione si applica ad assorbenti, tamponi igienici e applicatori per tamponi; salviette umidificate; sigarette, sigari e relativi filtri; tazze per bevande.
- Responsabilità estesa del produttore. In virtù del principio “chi inquina paga”, i produttori di determinati oggetti si dovranno accollare i costi del sistema di smaltimento e trattamento, della raccolta di quelli dispersi nell’ambiente e delle misure di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza. Questo onere spetterà alle aziende di sacchetti leggeri, contenitori per alimenti, attrezzi da pesca, pacchetti e involucri, prodotti del tabacco con i rispettivi filtri, salviette umidificate, palloncini, contenitori e tazze per bevande con i rispettivi tappi e coperchi.
- Sensibilizzazione. L’Unione preme per accrescere la consapevolezza della popolazione sull’enorme impatto ambientale della plastica monouso.
L’Italia salva le bioplastiche dalla direttiva europea sulla plastica monouso
La definizione di “plastica” utilizzata dalla Commissione europea è molto ampia perché include anche quella “a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo”. In altre parole, una bioplastica derivata dagli scarti del mais viene equiparata in tutto e per tutto alla tradizionale plastica vergine fatta con il petrolio, anche qualora si possa gettare nel bidone dell’umido. La linea dura adottata dalle istituzioni diventa più comprensibile alla luce del fatto che la dicitura “compostabile” ci indica che un piatto o un cucchiaino, dopo l’uso, va destinato agli impianti appositi; se finisce in mare, come spesso accade, può comunque fare danni.
Questa scelta ha sollevato un polverone soprattutto in Italia, da cui arrivano i due terzi della plastica biodegradabile d’Europa, stando ai dati riportati da Dataroom. Nel dare mandato al governo di emanare il decreto per il recepimento della normativa, il Parlamento ha quindi chiesto una deroga per la bioplastica. Quest’ultima è il combinato disposto di tre fattori, spiega a LifeGate il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani: “La filiera della chimica verde italiana e della bioeconomia, costituita da produttori, trasformatori e da tutte quelle imprese che si sono convertite dalla plastica tradizionale alla bioplastica compostabile. Il secondo elemento è legato al fatto che l’Italia vanta la raccolta differenziata domestica dell’umido più importante d’Europa in termini assoluti. Infine, la nostra impiantistica di compostaggio e gestione anaerobica è molto strutturata”.
Insomma, nei supermercati troveremo ancora piatti e stoviglie in bioplastica compostabile. Una scelta che convince Legambiente, purché sia accompagnata da un cambiamento culturale. “Quando dieci anni fa sono stati banditi i sacchetti per la spesa in plastica, non c’è stata una sostituzione ‘uno a uno’. Grazie a quella legge, l’uso dei sacchetti usa e getta è crollato del 70 per cento e portarsi da casa una borsa riutilizzabile è diventato la normalità”, fa notare Ciafani. “Ora deve succedere esattamente la stessa cosa. Non si può assolutamente pensare che il prodotto monouso in plastica tradizionale debba essere sostituito da un analogo prodotto monouso, ma compostabile”.
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