“Si parla sempre di ‘tradizione’, ma in realtà è cominciato tutto nel 2010, quindi sono solo dieci anni. Non si può proprio parlare di tradizione: è stata una trovata dei commercianti di cani per avere uno sbocco di business in più”, ci spiega Martina Pluda, presidente dell’associazione Humane society international Italia (Hsi). L’abbiamo contattata per sapere cosa sta succedendo a Yulin, città-prefettura del Guangxi, nella Cina meridionale, dove ogni anno, in concomitanza con il solstizio d’estate, vengono uccisi e consumati migliaia di cani.
Le uccisioni a Yulin proseguono anche quest’anno
Si stima che ogni anno circa 30 milioni di cani vengano uccisi in tutta l’Asia per la loro carne, di cui 10-20 milioni solo in Cina. Questa manifestazione è nata per aumentare i profitti dei commercianti, ma “si è rivelata una catastrofe reputazionale per questa città perché ormai nessuno associa più la parola Yulin con qualcos’altro”.
Le immagini di cani e gatti ammassati in minuscole gabbie, tra i loro stessi escrementi, trattati come oggetti e poi brutalmente uccisi fanno il giro del mondo suscitando indignazione e rabbia. Questo, con il tempo, ha contribuito ad abbassare il numero di animali macellati. Infatti, nel 2010, quando tutto è cominciato, si parlava di 15mila cani uccisi. Ora sono scesi a tremila.
“I nostri attivisti sul campo ci dicono che il festival si sta tenendo nonostante le preoccupazioni legate alla pandemia, alle zoonosi, per non parlare del benessere animale inesistente”, ci racconta Pluda. “Quello che vediamo è che l’anno scorso, in pieno Covid, i numeri erano nettamente più bassi dell’anno precedente e in generale inferiori rispetto a quando la manifestazione è partita. Quest’anno si è leggermente ripreso, ma i numeri sono comunque in continua discesa”.
Cosa vuol dire fare attivismo a Yulin
Fare attivismo nel paese, poi, è particolarmente difficile. “La Cina permette attività solo a gruppi locali e registrati. Per questo noi ci appoggiamo sempre su partner locali che possono muoversi in sicurezza”, ci spiega. “La questione non è facile. Quest’anno i nostri attivisti hanno chiesto più regole, controlli, posti di blocco per fermare quei camion per verificare che i cani non fossero stati rapiti. Non è stato fatto molto, quindi hanno preso la questione di petto e hanno fermato i camion per conto loro”.
Gli attivisti di Hsi, infatti, sono riusciti a portare in salvo 68 cani che erano diretti al macello. “È stato frustrante vedere i camion pieni di cani arrivare a Yulin quando le autorità avrebbero dovuto fermarli e confiscare i cani”, racconta Liang Jia, un attivista del Guangxi. “Così abbiamo deciso di salvarli da soli, aspettato e intervenendo sull’autostrada. Quando è arrivato un camion, gli abbiamo intimato di fermarsi e abbiamo convinto l’autista a consegnare i cani perché erano chiaramente animali domestici rubati, per i quali non aveva i documenti richiesti per legge. I cani ci hanno dato la zampa, proprio come farebbe un cane di casa, e avevano denti sani, il che significa che qualcuno si prendeva cura di loro prima di essere prelevati illegalmente”. Ora si trovano in un rifugio gestito da Hsi dove verranno curati e poi inseriti in un programma di riabilitazione. Rimarranno con l’associazione fino a quando non saranno pronti per essere adottati.
Yulin è ovunque
Quando si parla di Yulin, nessuno scende a compromessi. Non si chiedono metodi di macellazione o di allevamento “più umani” perché si è concordi nell’affermare che non esistono, che la morte di quei cani non è giustificabile in nessun caso. Non importa che sia un festival, una tradizione culinaria o una trovata di marketing, l’unica cosa che si vuole è un divieto al consumo della loro carne. 30 milioni di cani consumati ogni anno, poi, sono un numero che lascia scioccati.
Eppure, sempre ogni anno, macelliamo anche 60 miliardi di animali tra bovini, suini e polli che equivalgono a duemila volte il numero di cani e gatti uccisi in tutta l’Asia. Tonnellate di inchieste dimostrano che dal momento in cui nascono al momento in cui muoiono, quegli animali vivono la stessa sorte dei cani di Yulin, trascinati, picchiati e maltrattati negli allevamenti, durante il trasporto o nei macelli.
Per questo, condannare ciò che succede in Cina mentre si addenta un panino o ci si reca alla sagra della porchetta è solo uno stratagemma per evitare di confrontarsi in modo critico con le proprie abitudini. Perché se lo facessimo, forse capiremmo che entrambi sono sbagliati e che non esiste scusa che tenga quando c’è di mezzo una vita.
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