Perché, tra i molti sintomi della Covid-19, l’anosmia o perdita dell’olfatto preoccupa tanto? Dei cinque sensi l’olfatto è il più complesso e misterioso. Tocca corde profonde nella parte più antica del cervello, il cosiddetto cervello limbico. E ha una memoria straordinariamente lunga, tanto che certe impressioni olfattive vissute nell’infanzia si ripresentano a distanza di decenni. L’olfatto ha importanti intrecci con la nostra psiche, e si è visto che, più di altri sensi, influisce sul benessere psicologico. Ecco perché chi perde la capacità di sentire gli odori si sente privato di una parte importante della vita: evaporano tante sensazioni ed emozioni, a partire dal semplice piacere del cibo. Infatti l’olfatto ha un ruolo chiave nella percezione dei gusti.
Dall’anosmia all’ageusia
Le alterazioni dell’olfatto riguardano la perdita totale o parziale della capacità di sentire gli odori, oppure la distorsione (i termini scientifici sono rispettivamente anosmia, iposmia e parosmia). Se invece è il gusto a sparire si parla di ageusia. Le cause sono diverse: possono dipendere da disturbi del sistema nervoso o da problemi locali. I polipi nasali e le allergie respiratorie, per esempio, sono tra i più comuni.
Negli ultimi tempi, con la diffusione dell’infezione da Sars-CoV2, le alterazioni dell’olfatto hanno assunto grande rilevanza, dal momento che compaiono tra i sintomi tipici della malattia. Talvolta sono anche l’unico, al punto che la perdita delle capacità olfattive è stata proposta come una specie di test di positività al contagio. Diverse ricerche hanno confermato l’associazione anosmia con Covid-19, per esempio questa pubblicata sull’Ifar International forum of allergy and rhinology.
L’infiammazione alla base della perdita dell’olfatto post virale
Nella Covid-19 l’anosmia è tipicamente improvvisa. Ma da che cosa dipende? “Come per altri disturbi correlati all’infezione da SarsCoV2 il meccanismo alla base della perdita dell’olfatto è di tipo infiammatorio”, spiega l’otorinolaringoiatra Lorenzo Sabatino del team Terapie integrate in otorinolaringoiatria dell’Università Campus Biomedico di Roma. “Nella mucosa nasale abbiamo almeno cento milioni di cellule olfattive, neuroni altamente specializzati capaci di captare infinite sfumature di odori. Il virus si annida nella mucosa, e usa il materiale della cellula per riprodursi. A un certo punto interviene la reazione immunitaria che scatena l’infiammazione nel tentativo di distruggere il virus, ma il fenomeno coinvolge anche le cellule olfattive che vengono danneggiate. Alcune, le cellule terminali, si trovano in superficie: di solito sono le prime a subire danni, ma nella maggioranza dei casi si rigenerano spontaneamente. Le cellule staminali, invece, sono più profonde ma è raro che vengano danneggiate”.
L’importanza dei lavaggi nasali
Se ci si accorge che, dopo qualche settimana dalla guarigione dall’infezione, non si ha ancora recuperato l’olfatto (una persona su cinque ne resta priva anche per un anno) è possibile seguire un protocollo di rieducazione olfattiva. “Il primo passo è liberare il naso dagli stimoli infiammatori come smog, sostanze irritanti, allergeni”, precisa l’esperto. “Aiuta a creare terreno fertile per la ripresa delle cellule olfattive, e il sistema più semplice è rappresentato dai lavaggi nasali quotidiani con soluzione fisiologica o ipertonica”. Uno studio eseguito proprio presso il Biocampus di Roma e pubblicato recentemente sull’International Journal of immunopathology and pharmacology ha dimostrato che questa semplice pratica igienica è efficace anche per abbassare la carica virale nelle prime vie aeree e ostacolare l’attecchimento di vari tipi di virus, tanto che viene consigliata per prevenire il contagio da SarsCoV2.
La riabilitazione olfattiva
Una volta eliminata l’infiammazione, anche con l’aiuto di spray nasali eventualmente prescritti dal medico, si può seguire il protocollo, una vera e propria riabilitazione olfattiva. “In ospedale verifichiamo anzitutto la capacità olfattiva con test specialistici di olfattometria”, spiega Lorenzo Sabatino. “Nel test di identificazione, per esempio, si propongono ai pazienti degli stick con diversi odori da riconoscere. I risultati sono espressi da 1 a 5 e indicano se la persona è affetta da perdita totale o parziale dell’olfatto. In casi selezionati, poi, si possono eseguire altri test”. Una volta accertata l’alterazione dell’olfatto viene proposta la riabilitazione domiciliare per stimolare le cellule olfattive. “Consiste nell’annusare quattro diversi oli essenziali in sequenza: limone, chiodi di garofano, rosa e eucalipto”, prosegue Lorenzo Sabatino. “Ci si concentra su un odore per trenta secondi, poi si passa all’altro. La riabilitazione va fatta mattina e sera per almeno uno-tre mesi. Di solito dà ottimi risultati: assieme all’olfatto si recupera anche il gusto che dipende in gran parte dall’olfatto retronasale. Infatti la lingua ha la capacità di distinguere soltanto i quattro sapori fondamentali (dolce, salato, amaro, acido) mentre tutte le sfumature di sapore dipendono proprio dal naso”.
A chi richiedere il protocollo di riabilitazione
A chi ci si può rivolgere per richiedere il protocollo di rieducazione olfattiva? Tramite il medico di base si può prenotare una visita specialistica presso le unità di rinologia che si trovano all’interno dei dipartimenti di otorinolaringoiatria di molti ospedali. Alcuni centri ricorrono a protocolli diversi. Per esempio, all’Ospedale di Fano si è messo a punto un protocollo che prevede, oltre a oli essenziali selezionati, anche un integratore a base di pealut (palmitoiletanolamide co-ultramicronizzata con luteolina). La sostanza aiuterebbe a riparare le cellule neuronali con risultati molto positivi secondo uno studio realizzato presso questo stesso ospedale. Oggi il protocollo di Fano è disponibile anche in diversi altri centri in tutta Italia. Per chi invece preferisce il fai da te su questo sito inglese è possibile acquistare il kit di oli essenziali, completo di istruzioni per l’uso.
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