La Bielorussia è tornata sotto i riflettori internazionali dopo aver dirottato a Minsk, la capitale, un aereo Ryanair. Il presidente Aleksandr Lukašenko ha dato ordine di arrestare il giornalista Roman Protasevich, che si trovava a bordo e viveva in esilio in Lituania. L’atto di pirateria aerea è stato condannato da gran parte della comunità internazionale e ha fatto tornare a parlare dell’autoritarismo bielorusso, dove tra brogli elettorali, tortura, bavaglio alle opposizioni politiche e ai mezzi di informazione si sta consumando l’ultima dittatura d’Europa. Che sembra però avere i tempi contati, grazie alle manifestazioni sempre più diffuse che da mesi agitano il paese.
Chi è il giornalista Roman Protasevich
La purga del presidente Aleksandr Lukašenko non ha risparmiato i mezzi di informazione, oggi come ieri. Lo sa bene Roman Protasevich, giornalista di opposizione 26enne da sempre critico verso il regime e diventato un punto di riferimento per le proteste di questi mesi. Nel 2012 il ragazzo era stato arrestato ancora 17enne perché gestiva due gruppi antigovernativi sul web, raccontò di avere subito violenze in carcere ma i riflettori del regime su di lui si sono accesi soprattutto nell’ultimo anno.
Nexta, organo di informazione indipendente di cui Protasevich è tra i fondatori, è diventato un punto di riferimento per le proteste di questi mesi. Il canale Telegram Nexta Live, dove vengono pubblicate notizie sulle proteste e gli abusi del regime senza il filtro del potere bielorusso e che è riuscito a sopravvivere al blocco di internet imposto da Lukašenko nelle prime fasi delle proteste, ha raccolto migliaia di follower e Protasevich era il suo caporedattore. Questa sua attività l’ha fatto finire nella lista nera dell’ultimo dittatore d’Europa, che lo ha accusato di incitare all’odio e di attività terroristica. Se Protasevich è riuscito a fare il suo lavoro è soprattutto perché prima ancora delle elezioni del 2020, alla luce del clima irrespirabile in Bielorussia per la stampa non allineata al regime, si era trasferito in Lituania in un vero e proprio auto-esilio forzato.
Questo gli ha permesso di rimanere fuori dalle purghe di Lukašenko, che allora si è inventato un modo per poter mettere le mani sul giornalista. Dirottare a Minsk il volo di linea Ryanair Atene-Vilnius su cui era a bordo con la fidanzata, nel momento in cui esso stava sorvolando la Bielorussia.
Un atto di pirateria aerea
Ai piloti del volo sarebbe arrivato un allarme bomba, una circostanza che nelle normali procedure impone di atterrare nell’aeroporto più vicino. In realtà su questo punto si sta indagando, visto che dalle immagini di alcuni radar appare che per quanto il velivolo Ryanair si trovasse ancora nello spazio aereo bielorusso, lo scalo di Vilnius fosse comunque più vicino. Ad ogni modo si è andati su Minsk scortati da un jet militare bielorusso, bombe a bordo non ce n’erano e una volta atterrati Roman Protasevich, la sua fidanzata Sophia Sapega e altre tre persone di cui non si conosce l’identità sono stati arrestati, in quanto ricercati per terrorismo ed estremismo.
Nelle scorse ore è stato diffuso un video dalle carceri bielorusse, dove il giornalista dice di stare bene e che le autorità lo stanno trattando con riguardo. Alcuni lividi e ferite sul suo corpo fanno però pensare che le cose stiano diversamente. E la comunità internazionale ha alzato la voce, soprattutto l’Unione europea. L’Alto rappresentante agli Affari esteri, Josep Borrell, ha chiesto l’immediato rilascio di Roman Protasevich e l’avvio di un’investigazione, mentre la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha parlato di “comportamento oltraggioso e illegale del regime bielorusso”. Il dirottamento di un aereo civile di linea per arrestare un giornalista dissidente è stato definito da Ryanair “un atto di pirateria aerea”, una delle violazioni più gravi del diritto internazionale.
Le sanzioni dell’Europa
Intanto la quasi totalità delle compagnie aeree hanno smesso di sorvolare la Bielorussia, mentre l’Ue ha bloccato i voli sul continente per la compagnia bielorussa Belavia.
È solo una delle conseguenze dell’azione di forza del presidente Lukašenko, accompagnata dalle pesanti sanzioni internazionali già annunciate ma non ancora definite che rischiano di avere un forte impatto su un paese già economicamente fragile, che ora cercherà di avvicinarsi ulteriormente a Mosca e all’amico Vladimir Putin.
L’ultima dittatura d’Europa
La Bielorussia si è goduta per molto poco tempo le nuove libertà arrivate nel 1991 con il crollo dell’Unione Sovietica e la sua indipendenza. Tre anni dopo infatti il potere è stato preso da Aleksandr Lukašenko che oggi, 27 anni dopo, ancora lo detiene. Da subito il presidente ha ristretto il campo dei diritti, una sorta di pegno che il popolo ha dovuto pagare per avere più assistenza sociale sotto forma di cibo e lavoro in un paese che viveva in estrema povertà a causa della crisi economica.
Nel corso degli anni Novanta durante il suo primo mandato Lukašenko ha imposto la lingua russa, ha tolto potere al Parlamento, ha rafforzato la pena di morte e ha cominciato a prendere di mira le voci dell’opposizione, tanto in politica quanto nel fibrillante mondo culturale bielorusso, arrivando perfino a vietare i concerti di alcune band considerate scomode per i testi delle loro canzoni. Poi è iniziata la piaga dei prigionieri politici, che è proseguita nei successivi venti e più anni fino alle oltre 400 detenzioni di oggi, così come sono proseguite le altre forme di repressione messe in pratica dal presidente-dittatore. Che intanto ha continuato a mantenere il potere, con elezioni che ogni volta sono finite sotto la lente degli osservatori internazionali a causa di metodi quantomeno sospetti. Nel 2006 per esempio l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha definito “non democratica” la chiamata alle urne che ha garantito un successo al presidente superiore all’80 per cento, questo mentre i leader stranieri tra cui l’ex presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi tessevano le sue lodi e facevano sì con i loro rapporti amichevoli che ogni broglio restasse impunito.
È così che a ogni nuova elezione sono seguite manifestazioni di protesta da parte della popolazione, che anno dopo anno sono diventate sempre più diffuse mentre il presidente perdeva popolarità. Fino al 2020, quando Lukašenko ha proclamato la sua ennesima vittoria al voto di agosto, non riconosciuta dall’Unione Europea e contestata di diversi brogli. Da quel momento il paese è stato interessato dalle proteste di più ampia portata della sua storia, che a differenza del passato si sono estese ben al di là della capitale Minsk e hanno abbracciato non più solo attivisti e oppositori, ma tutta la popolazione bielorussa.
I cortei vanno avanti ancora oggi, non si sono mai fermati, e Lukašenko ha dato prova di tutto il suo autoritarismo per il modo in cui ha cercato di sopprimere il dissenso. Nella prima settimana di proteste ci sono stati 7mila arresti, saliti poi nel complesso a 12mila e le carceri del paese si sono riempite di esponenti delle opposizioni politiche e giornalistiche. Sono stati documentati centinaia di casi di tortura, almeno cinque persone sono morte, una cinquantina sono scomparse e si denunciano casi di violenze sessuali e stupri da parte delle forze di sicurezza, tanto che nei giorni scorsi l’Onu ha aperto un’indagine sulle violazioni dei diritti umani.
L’atto di pirateria aerea con cui la Bielorussia ha fatto arrestare il giornalista Roman Protasevich in violazione del diritto internazionale si inserisce in questo contesto di declino costante dei diritti umani. La comunità internazionale non sembra più disposta a guardare e dopo le condanne dei mesi scorsi si prepara oggi a un’offensiva diplomatica di un certo peso contro Aleksandr Lukašenko.
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