La “nostra Africa”, ormai l’abbiamo imparato dall’annuale rapporto di Amref sulla rappresentazione del continente nei media italiani, si accende solo per fiammate brevi e circoscritte, perlopiù autoreferenziali. Se i drammi di Giulio Regeni e Patrick Zaki non fossero esplosi non si parlerebbe di Egitto; se il nostro console Luca Attanasio non fosse stato assassinato non esisterebbe il Congo; se negli Usa non avessero ucciso George Floyd e generato Black Lives Matter non parleremmo di diritti dei neri; se il dramma dei profughi e degli sbarchi non continuasse non esisterebbero Libia, Tunisia, l’intero Maghreb. Il resto sono briciole, briciole d’interesse e di racconto.

Un gruppo di ragazzi in Africa
Le voci dell’Africa, dagli intellettuali ai musicisti, dai poeti ai teatranti, non ci arrivano mai © Amref

Con la pandemia, ci dicono i nuovi dati curati dall’Osservatorio di Pavia, l’interesse per la complessità, la ricchezza, la molteplicità del continente africano è ulteriormente diminuito: “Una media mensile per testata pari a 10 notizie (meno della metà di quanto osservato nella precedente rilevazione); l’1,6 per cento di attenzione per l’Africa nei notiziari del prime time; nei programmi di informazione e di infotainment solamente 1.049 riferimenti specifici sull’Africa: 1 riferimento ogni 58 ore di programmazione”.

Che dire? Nel 2019 eravamo sul totale notizie appena sopra il 3 per cento: siamo all’1,6. A nessuno interessa che l’Africa sia il continente più grande e il secondo per popolazione dopo l’Asia: gli italiani si accendono, magari strumentalmente, solo se in qualche modo le sue contraddizioni ci vengono addosso, ci creano qualche problema.

Perché quando finalmente i nostri media trovano uno spazietto per occuparsene, sono solo i drammi dell’Africa a dominare, solo le sue emergenze (chissà se la Covid li avesse aggrediti come l’Aids: forse ce ne saremmo occupati per la paura del contagio…). E poi, al solito, le voci dell’Africa, dagli intellettuali ai musicisti, dai poeti ai teatranti, non ci arrivano mai.

E da uomo di tv sono particolarmente colpito da quel “1 riferimento ogni 58 ore di programmazione” che suona come una condanna all’ombelico e al perenne provincialismo del nostro story telling televisivo.

Ma permettetemi un riferimento personale. Grazie al consiglio e alla “istigazione” nati del legame virtuoso fra amministrazione e Caritas della mia città, abbiamo deciso di ospitare in casa nostra per un certo tempo, prima della pandemia, un giovane senegalese in cerca di sostegno. Sono stati mesi di scoperta, di scambio di racconti, alcuni davvero toccanti, altri meravigliosamente divertenti, ma soprattutto densi di reciproca conoscenza. Per esempio: ho imparato, attraverso di lui, che i senegalesi in Italia fanno quasi tutti parte della Muridiyya, una diffusissima confraternita islamica che nasce dalla bellissima e tristissima storia di Amadu “Bamba” Mbacké. Perseguitato dalle autorità francesi che ne temevano lo spirito indipendentista, fu arrestato e deportato in Gabon fino al 1913, anno in cui finalmente poté tornare nel suo paese ed essere venerato dai suoi discepoli (“murid” vuol dire appunto discepolo). Era stato tutto un equivoco: Bamba non si era mai occupato di politica, insegnava solo il culto del profeta e la realizzazione della volontà di Allah attraverso il lavoro (“Prega come se tu dovessi morire domani e lavora come se tu dovessi vivere per sempre”). E infatti l’unico vero cruccio del nostro ospite era ottenere un lavoro stabile e onesto, che fosse il segno della sua dignità di persona anche in un paese straniero.

Una ragazza in Africa con un bambino
Gli italiani si accendono, magari strumentalmente, solo se in qualche modo le sue contraddizioni ci vengono addosso, ci creano qualche problema © Amref

Scampoli di cultura africana, acquisiti grazie ad un semplice incontro, di cui sinceramente mai avevo letto o visto qualcosa sui nostri media in questi anni. Invece, da italiano agnostico e forse ateo in campo calcistico, ho imparato da lui un altro culto molto diffuso fra gli africani in Italia: quello della Juventus, di cui ogni sera mi cantava le gesta.

Insomma, l’Africa è ancora tutta da scoprire, da imparare, da stimare. Amref, con caparbia insistenza, ci aiuta ogni anno a scoprire la nostra distanza dall’obbiettivo.


Massimo Bernardini è un giornalista, autore, conduttore di Tv Talk (RaiTre) e Nessun dorma su Raicinque.