I combustibili fossili sono al centro di tutte le sfide che dobbiamo affrontare per vivere in un mondo migliore. Non solo i la crisi climatica, dunque, ma anche la salute pubblica, la lotta contro la disuguaglianza sociale e contro il razzismo. Questi due temi, in particolare, sono più connessi di quanto si pensi. A rivelarlo è un rapporto pubblicato da Greenpeace Usa.
Razzismo da combustibili fossili
Ogni anno, gas, petrolio e carbone mettono in pericolo la salute dei cittadini, in particolar modo cittadini che fanno parte delle comunità afroamericane, latine, indigene, asiatiche e povere che spesso si ritrovano a vivere in prossimità di siti dove i combustibili fossili vengono estratti, lavorati o trasportati.
La letteratura scientifica su questo tema è immensa. I tantissimi studi raccolti da Greepeace dimostrano come i combustibili fossili stiano alimentando l’eredità del razzismo sistemico negli Stati Uniti, ovvero di quel razzismo radicato nelle istituzioni e nella società fin dai tempi della sua nascita.
Estrazioni in luoghi ancestrali per le comunità indigene, come il caso dell’oleodotto Dakota access pipeline; gli effetti della combustione ed estrazione del gas sulle popolazioni ispaniche in Texas, dove le donne hanno più probabilità di abortire rispetto a chi vive lontano dalle torri petrolifere; oppure il trasporto del petrolio di Bakken che ha un impatto sproporzionato, invece, sulla riserva indiana di Fort Berthold, nel Dakota del Nord: sono solo alcuni degli esempi citati dall’organizzazione nel suo report.
Il razzismo economico coinvolge anche i bianchi
Nello stato della California coloro che vivono vicino ai pozzi di petrolio e gas sono, per la maggior parte, appartenenti a famiglie a basso reddito e i dati demografici dimostrano che si tratta per lo più di non bianchi e latini. Il cerchio si chiude se si considera che i proprietari dei diritti di estrazioni sono bianchi, ricchi e hanno meno problemi di salute. Quindi non vivono vicino alle aree di estrazione.
Non mancano i casi di razzismo economico che coinvolge anche i bianchi. Lo dimostrano i pozzi di fracking nella regione di Marcellus Shale, in Pennsylvania, dove gli studi raccolti da Greenpeace Usa mostrano disparità di reddito enormi: questa regione, in particolare, registra livelli di povertà relativamente alti, nonostante sia l’area con il maggior volume di gas estraibile degli Stati Uniti. Ma mentre nel 2012, Marcellus Shale diventava la principale area di produzione di gas degli Stati Uniti, l’estrazione di gas dal sottosuolo attraverso la fratturazione idraulica, appunto il fracking, ha lasciato in eredità alle popolazioni locali un inquinamento spaventoso delle acque superficiali e di quelle sotterranee.
Chi vive a distanza di un chilometro da qui rischia di trovarsi un livello di metano disciolto nell’acqua di casa 17 volte maggiore rispetto all’acqua esterna all’area. Per questo e per altri effetti collaterali gravi sulla popolazione locale, i cittadini dell’area hanno presentato centinaia di esposti.
Giustizia climatica e distribuzione della CO2
La distribuzione ineguale dell’inquinamento sulla società è una questione nota da tempo ad afroamericani, asiatici, latini e indigeni, che spesso si sono uniti per combattere contro imprese, impresari e istituzioni. D’altronde, la protesta della comunità nera nel 1982 contro il progetto di realizzazione di una discarica nella contea di Black Warren, in Carolina del Nord, dove sarebbe è stato sotterrato terreno contaminato da Pcb (sostanze chimiche prodotte nei processi industriali, altamente inquinanti per l’uomo e l’ambiente), è considerata come il momento della nascita del movimento per la giustizia ambientale americano.
Per il movimento non basta ridurre la CO2 nell’atmosfera, ma bisogna fare anche in modo che le emissioni di CO2 non si concentrino nelle aree più degradate. Per Greenpeace le aree dove si concentrano i livelli più alti di inquinamento sono le stesse dove vengono segregate le comunità più povere.
“Il decennio appena iniziato sarà cruciale per mettere la nostra economia sulla strada giusta”, ha scritto Greenpeace nel suo report. “Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden deve mantenere la promessa tale per cui il razzismo sistemico va affrontato insieme alla crisi climatica alla necessità di ridurre l’uso dei combustibili fossili”.
Il punto di partenza è sempre lo stesso: la dismissione della produzione di combustibili fossili e l’abbandono dei progetti di infrastrutture per la loro combustione vanno gestiti dando priorità alle esigenze dei lavoratori e delle comunità più esposte alla crisi climatica.
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