Un nuovo studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Utrecht e dell’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona ha dimostrato che l’algoritmo utilizzato dai principali servizi di streaming musicale, tra cui Spotify, che suggerisce quale musica ascoltare in base alle abitudini di ascolto degli utenti, ha più probabilità di proporre artisti uomini rispetto ad artiste donne.
L’esistenza di disuguaglianze di genere nell’industria musicale è ampliamente documentata da innumerevoli studi che, negli anni, hanno dimostrato quanto il mondo della musica, che per antonomasia è sempre stato legato a concetti di libertà, uguaglianza e, talvolta, anche di ribellione contro gli stereotipi, in realtà sia ancora profondamente soggetto a pregiudizi di genere.
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Dalla mancanza di nomi femminili nelle line up dei festival musicali di tutto il mondo, all’esiguo numero di donne in posizioni manageriali nell’industria musicale, fino ad arrivare, dunque, alla discriminazione delle artiste donne nelle chart musicali a causa della classificazione automatica degli artisti maschi in posizioni più alte rispetto alle artiste femminili nelle playlist consigliate. Il nuovo studio mette in evidenza come anche un algoritmo possa contribuire a diffondere bias di genere.
Lo studio sull’algoritmo Spotify
Secondo il sito Statista, all’inizio del 2020, quattrocento milioni di persone erano iscritte a un servizio di streaming — rispetto ai settantasette milioni del 2015 —, con l’industria musicale statunitense quasi completamente rilevata dai servizi di streaming, che oggi rappresentano l’ottanta percento delle entrate complessive dell’industria musicale.
È un dato di fatto, ormai, che la maggior parte di coloro che ascoltano musica, lo faccia tramite i servizi di streaming musicale.
Ma, secondo la dottoressa Christine Bauer dell’Università di Utrecht e co-autrice dello studio: “Quello che raccomandano Spotify e le altre piattaforme di streaming musicale non è sempre giusto perché, se artiste come Ariana Grande, Taylor Swift e Billie Eilish vengono seguite, la platea di donne meno conosciute scompare in un circolo vizioso di suggerimenti mancati”.
Lo studio è partito da una domanda posta direttamente ai diretti interessati, ossia gli artisti, ai quali è stata chiesta la loro opinione su cosa renderebbe più giuste le piattaforme di musica online.
I ricercatori hanno scoperto che la più grande paura rispetto agli algoritmi di streaming riguarda proprio il genere dell’artista: la preoccupazione principale è che le donne ricevano un’esposizione più limitata rispetto agli uomini.
“Come parte di un progetto più ampio, abbiamo prima contattato alcuni artisti musicali per sapere cosa pensassero delle piattaforme di streaming”, ha affermato Andrés Ferraro, professore presso l’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona e co-autore dello studio, che ha continuato: “Una delle principali questioni sollevate nelle interviste è stato proprio lo squilibrio di genere nelle piattaforme stesse”.
Analizzando il comportamento di ascolto di circa 330mila utenti in nove anni, lo studio ha scoperto che, quando si parla della totalità degli artisti musicali mai ascoltati, solo il venticinque per cento degli artisti ascoltati sono donne.
Inoltre, la prima traccia consigliata è, mediamente, di un uomo, così come le sei successive. Gli utenti devono aspettare fino alla settima o ottava canzone per ascoltare una traccia di un’artista femminile.
La stessa Bauer, in un articolo online apparso su The Conversation, ha sottolineato come la rappresentanza delle donne e delle minoranze di genere nell’industria musicale sia “tremendamente bassa”.
“Circa il 23% degli artisti nella Billboard 100 del 2019 erano donne o minoranze di genere. Le donne rappresentano il 20% o meno dei compositori e cantautori registrati, mentre il 98% delle opere eseguite dalle principali orchestre sono di compositori uomini”, ha affermato.
La proposta per un algoritmo più equo
“Sebbene il problema provenga da ben oltre l’industria musicale, le piattaforme di musica online e i loro algoritmi di raccomandazione musicale giocano un ruolo importante”, ha dichiarato Christine Bauer.
Per questo motivo, il team di ricerca ha anche sviluppato una tecnica per una nuova formulazione di raccomandazioni più equa e che possa raggiungere l’equilibrio di genere sul lungo periodo: per interrompere quel “ciclo di feedback” che propende verso una maggiore visibilità degli artisti maschi.
Il nuovo approccio di riclassificazione progressiva ha, quindi, spostato tutti gli artisti maschi di un dato numero di posizioni verso il basso, portando a una maggiore visibilità delle artiste donne.
“Tramite una simulazione, abbiamo scoperto che le nostre raccomandazioni riclassificate potrebbero influenzare il comportamento di ascolto degli utenti a lungo termine (…) Con l’aiuto del nostro algoritmo riclassificato, gli utenti inizierebbero a cambiare il loro comportamento e ascolterebbero più artiste donne di prima”.
Secondo i ricercatori, questo semplice metodo potrebbe aiutare ad affrontare i pregiudizi negli algoritmi, che giocano un ruolo importante nel modo in cui molte persone scoprono nuova musica e artisti.
Il prossimo passo per la ricerca, sarà quello di raccogliere e utilizzare i dati sull’ampia scala delle identità di genere: “Siamo consapevoli che questa classificazione binaria di genere non riflette la moltitudine di identità di genere. L’indisponibilità di dati al di là del binario di genere è un enorme ostacolo, sia per la ricerca che per l’azione e il progresso a livello sociale”.
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