Per sapere se una specie, animale o vegetale che sia, è in pericolo di estinzione oppure no, c’è solo una cosa da fare: consultare la Lista rossa (o Red list) dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn). Non tutti sanno però che l’Iucn redige parallelamente anche una Lista verde (o Green list), meno famosa ma ugualmente importante.
Come si entra nella Lista verde e chi ne fa parte
Si tratta di un elenco di aree protette nel mondo che rispondono a criteri ben precisi – tra cui la tutela degli ecosistemi, la qualità gestionale, l’inserimento nel contesto socio-economico dei territori e la capacità di promuovere lo sviluppo sostenibile – arrivando a soddisfare il Green list sustainability standard e rispondendo così alle “sfide ambientali del 21esimo secolo”. Attualmente ne fanno parte 59 siti di 16 paesi, e altri 500 stanno provando a entrarci. Le ultime aree protette inserite si trovano in Francia, Svizzera e Italia, dove si annoverano il Parco nazionale delle Foreste casentinesi, il Parco nazionale del Gran Paradiso e quello dell’Arcipelago toscano.
A cosa serve la Green list
L’obiettivo è migliorare il lavoro di conservazione svolto a livello internazionale e, quando necessario, incoraggiare i gestori dei parchi e le amministrazioni locali a confrontarsi con questioni complesse come i diritti dei popoli indigeni e il turismo sostenibile. “Ci sono circa 250mila aree protette nel mondo, ma la maggior parte di esse non è gestita nel modo corretto”, spiega James Hardcastle, a capo del team che si occupa della Green list. “La chiave del successo sta nel riuscire a bilanciare gli interessi locali con quelli nazionali e internazionali”.
Il bello della Lista verde, infatti, è che accanto ai parchi più noti si trovano anche realtà più piccole e meno conosciute, come riserve indigene o parchi provinciali che magari sono riusciti a ottenere l’ambita certificazione prima di altri “avversari” più temibili.
L’esempio della riserva Amarakaeri
“La Green list non è un concorso di bellezza e non contano le dimensioni delle aree protette”, continua Hardcastle. “Un esempio è la riserva Amarakaeri in Perù, un territorio indigeno che non applica controlli e regole particolarmente rigidi”. Molto spesso gli esempi più virtuosi sono quelli dove si è creato un equilibrio fra l’uomo e la natura, sulla base di un reciproco scambio di risorse capace di mantenere vivo l’ecosistema, privo di rigidità e chiusure; luoghi dove conservazione e sviluppo vanno di pari passo, anziché essere visti come concetti opposti.
La riserva Amarakaeri nasce dalla collaborazione fra il governo e le comunità Harakmbut, Yine e Machiguenga che proteggono la foresta dalle estrazioni illegali, dalla deforestazione e dai narcotrafficanti. Al tempo stesso nella riserva esiste una coltivazione sostenibile di noci che fornisce sostentamento alle popolazioni locali.
La Lista verde è un simbolo di speranza
“La Green list è un’opportunità per essere ambiziosi e avere speranza”, commenta Víctor Lagos San Martín della Corporación nacional forestal del Cile. “Gli sforzi per la conservazione si basano quasi sempre sulla Lista rossa, sulle minacce esistenti e sulle specie in via di estinzione. Ma la Lista verde permette di fare esattamente l’opposto”. Non sarà una gara, ma se si corre per la salvaguardia degli ecosistemi, ben venga un po’ di sana competizione.
La speranza è che alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla biodiversità, prevista nel mese di ottobre, tutti i paesi del mondo accetteranno la sfida definita come 30 by 30, volta a proteggere almeno il 30 per cento delle terre e dei mari entro il 2030. Alcuni lo hanno già fatto. Come si legge sul sito dell’Iucn, “esistono comunità solide di uomini e donne che lottano contro la distruzione degli habitat. Possiamo sperare nel cambiamento e sognare un futuro più sostenibile”. Come diceva lo scrittore Daniel Pennac, se davvero vogliamo sognare, dobbiamo svegliarci. E continuare a correre questa maratona.
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