Lo Zimbabwe ha rilasciato circa 400 detenuti nell’ambito di un piano governativo volto a ridurre la pressione sulle carceri del paese, note per il loro sovrappopolamento e per le violazioni dei diritti umani. Il paese è in ginocchio per la seconda ondata di Covid-19 e diversi focolai sono esplosi anche negli istituti penitenziari. A beneficiare della misura sono stati i condannati per reati non violenti, ora però le ong chiedono che a essere liberati siano anche i numerosi attivisti politici e oppositori arrestati nei mesi scorsi. Intanto anche altri paesi hanno proclamato amnistie simili e pene alternative per combattere la diffusione del virus nelle carceri.
L’amnistia contro il Covid-19
Il piano di amnistia dello Zimbabwe ha origini precedenti alla pandemia. Nel 2018 il presidente Emmerson Mnangagwa, successore di quel Robert Mugabe al potere dal 1987 al 2017, ha deciso di perdonare 3mila detenuti attraverso un atto di amnistia considerato necessario per decongestionare le sovrappopolate carceri del paese. Ai tempi vi erano circa 22mila detenuti a fronte di 17mila posti e se da una parte migliaia di prigionieri sono stati effettivamente liberati, dall’altra c’è stato un incremento degli arresti negli ultimi tempi.
Come denunciato da diverse associazioni per i diritti umani, le autorità hanno usato le restrizioni per il Covid-19 come pretesto per imprigionare diversi oppositori politici e giornalisti. In effetti il paese vive un certo livello di tensione politica e sociale e soprattutto nell’estate scorsa, nella capitale Harare, si sono tenute manifestazioni contro la corruzione e la malagestione dell’emergenza sanitaria. Molte persone sono state arrestate, mentre diversi rapporti recenti, anche dal Dipartimento degli Stati Uniti, hanno accusato le autorità dello Zimbabwe di uccisioni arbitrarie di civili e tortura.
Anche nelle carceri del paese la situazione è critica lato diritti umani. In una singola cella si trovano a convivere fino a 25 persone e il distanziamento sociale non esiste, elementi che hanno favorito l’esplosione di focolai di coronavirus al loro interno, mentre il paese vive una seconda ondata pandemica causata dalla diffusione della “variante sudafricana” del virus. Da qui la decisione del presidente Mnangagwa di proseguire sulla strada dell’amnistia. Circa 400 persone, tutte condannate per reati non gravi, sono state liberate nelle scorse ore. La quasi totalità erano detenute nel carcere di massima sicurezza di Chikurubi, noto storicamente per le violazioni dei diritti umani e le condizioni sanitarie precarie. Le associazioni per i diritti umani stanno chiedendo al presidente di proseguire su questa strada, liberando anche i centinaia di attivisti politici e oppositori arrestati negli ultimi tempi.
Lo Zimbabwe è solo l’ultimo caso
Quello dello Zimbabwe non è l’unico caso di amnistia nel mondo negli ultimi mesi. La pandemia ha trovato nelle carceri un ambiente molto vulnerabile, a causa della prossimità della sua popolazione ma anche del sovraffollamento endemico al sistema. In Myanmar nel 2020 sono stati liberati circa 25mila detenuti in occasione della celebrazione del nuovo anno buddista. Niente di nuovo in realtà, un atto di clemenza che si ripete cronicamente, ma l’emergenza coronavirus ha certamente dato una spinta alla portata delle ultime scarcerazioni, che hanno riguardato il doppio delle persone rispetto alle precedenti occasioni.
Sempre nella primavera scorsa, la Turchia di Recep Erdoğan ha annunciato la liberazione di circa 90mila detenuti, condannati per reati comuni, a fronte di una popolazione carceraria totale di 300mila persone. Una misura volta a ridurre la pressione sul sistema più sovrappopolato del continente europeo di fronte alla diffusione del virus e che però, come nel caso dello Zimbabwe, non ha riguardato oppositori e giornalisti, oggetto da tempo di una campagna repressiva da parte del regime turco. Anche Marocco, Algeria, Tunisia e Libia hanno disposto il rilascio di migliaia di detenuti nel corso del 2020 a causa dell’emergenza sanitaria. Un’amnistia che ha riguardato nel complesso circa 15mila persone, ma che anche in questo caso non ha visto coinvolti gli oppositori politici, come il movimento marocchino Hirak.
La popolazione carceraria si è poi ridotta anche nell’Occidente, sebbene non attraverso vere e proprie amnistie. Un po’ in tutta Europa, compresa l’Italia, si è cercato di favorire il ricorso alle misure alternative alla pena come i domiciliari, mentre in altri casi si è accorciato il periodo di detenzione per chi si trovasse a scontare gli ultimi mesi di condanna. Lo stesso è avvenuto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove la popolazione carceraria è crollata di 170mila persone nel 2020 a causa del Covid-19. I dati provenienti dagli Usa mostrano d’altronde la violenza della pandemia all’interno del sistema penitenziario: oltre un terzo dei detenuti americani ha contratto il virus, contro meno di una persona su dieci nel mondo di fuori.
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