Quel che è davvero sensazionale della “Città d’oro” scoperta nei pressi di Luxor, in Egitto, sono le tracce della quotidianità. I forni per il pane e per i mattoni, i resti delle attività produttive e le case. Interessanti almeno quanto le gigantesche piramidi, quanto le tombe dipinte e le mummie illustri. Sarà per questo, per la sensazione di tornare indietro nel tempo e toccare davvero con mano il passato, che le fonti egiziane hanno definito questo insediamento urbano di 3.000 anni fa la seconda scoperta archeologica più importante per l’Egitto dopo la tomba di Tutankhamon. L’annuncio da parte del ministero del Turismo e delle antichità egiziano è avvenuto lo scorso 8 aprile e ha fatto il giro del mondo in poche ore. Gli scavi sono durati sette mesi, tra 2020 e 2021, e sono stati guidati dal famosissimo archeologo Zahi Hawass, oggi Segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie.  

Ma cosa significa davvero questa scoperta, per gli egiziani e per tutti noi appassionati del popolo dei faraoni? Cosa sappiamo? Perché l’hanno chiamata “Città d’oro”? Per chiarire le idee, non potevamo che raggiungere al telefono due veri esperti di antico Egitto: l’archeologo curatore del Museo Schneiberg di Torino Generoso Urciuoli e l’egittologa Marta Berogno. Ecco cosa hanno raccontato a LifeGate.

In cosa consiste la scoperta?
Generoso Urciuoli (GU): Per una volta, quella che è stata scoperta è una città. Ne conosciamo ancora poche: Deir el-Medina, per esempio, o il villaggio degli operai della piana di Giza. Quel che sappiamo dell’antico Egitto è spesso filtrato dall’ambito funerario, come se gli antichi Egizi fossero ossessionati dalla morte. Un insediamento del genere fornisce un quadro della vita quotidiana di persone vissute nel Nuovo Regno e in particolare sotto il regno di Amenofi III.
Marta Berogno (MB): Le informazioni che ci dà questa città sono moltissime. Sappiamo che era un centro amministrativo e un luogo di produzione e che una parte era di residenza. Ed è importante per capire come si lavorava, cosa si faceva. Per esempio, si è scoperta una grossa panetteria e un quartiere legato alla produzione del cibo. Da quest’area proviene anche il contenitore con i resti di carne secca, cucinata per una cerimonia dedicata ad Amenofi. Sul contenitore si leggono anche il nome del macello e del macellaio. E poi è stato trovato tantissimo vasellame, e ancora un’area dove si producevano mattoni, amuleti, manifatture, oggetti per la filatura…

Egitto, città d'oro, Luxor
Contenitore per la carne rinvenuto duramnte lo scavo della “Città d’oro”. © Luxor Times

GU: Diversamente da Deir el-Medina, che fu abitato per quasi 500 anni, in questo caso non sappiamo per quanto tempo fu utilizzato il sito e sarà interessante scoprirlo! Può anche darsi che sia stato realizzato solo per la preparazione dei templi e per il grande giubileo di Amenofi, quindi per un periodo circoscritto. Ma anche se così fosse, questo ci darebbe un altro risvolto interessante nei confronti degli Egizi. Noi li immaginiamo statici, sempre uguali a se stessi dall’Antico Regno fino all’arrivo di Alessandro Magno. Questa città potrebbe invece far luce sulla loro dinamicità.

Le scoperte sono promettenti, ma non si parla di nessun tesoro. Perché allora l’hanno chiamata “Città d’oro perduta”?
MB: Uno degli epiteti di Amenofi III è Aton abbagliante e quindi questo insediamento è stato definito come l’insediamento dell’Aton Abbagliante. Può essere che il termine golden faccia in qualche modo riferimento a “qualcosa che luccica”, qualcosa di dorato. Ma in realtà non sappiamo perché sia stata definita “Città d’oro”.

È vero che si sapeva già che lì c’era una città e che non si tratta di una nuova scoperta?
GU: La risposta corretta è sì e no. Gli scavi del 1930, pubblicati nel 1936 e nel 1939 erano a circa 100-200 metri da dove Hawass ha scavato. E hanno portato in luce alcuni materiali. Che fosse una zona ricchissima, si sapeva.
MB: In realtà, gli scavi antecedenti riguardavano semplicemente un altro settore. C’è ancora tanto da scavare ed è possibile che la prima zona indagata costituisca un prolungamento di quanto trovato sinora. Non si tratta delle stesse zone di scavo, ma può essere lo stesso contesto! Quello che ha dato fastidio a molti è stata l’affermazione di Hawass, che ha sostenuto di aver trovato la città per caso durante le ricerche del tempio funerario di Tutankhamon. La città, invece, si conosceva già, ma era stato indagato un altro settore.
GU: Magari non sarà interessante come la tomba di Tutankhamon, ma ricordiamo che l’approccio alle scoperte archeologiche è profondamente cambiato rispetto al passato. Si va alla ricerca della quotidianità, della produzione, si vuol capire come le cose sono avvenute. L’oro, o il reperto fantastico, interessano ancora, ma anche la quotidianità diventa un elemento importante.

 

 

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Cosa pensate del sensazionalismo che spesso accompagna spesso queste scoperte? E del parallelismo con Pompei?
GU: Ricordiamo che Zahi Hawass, che è ambasciatore mondiale del turismo in Egitto e supervisiona le attività di scavo, non ha usato questa dicitura. L’hanno utilizzata i media, soprattutto italiani, ma anche israeliani e in qualche caso statunitensi.
MB: Forse il parallelismo nasce perché anche qui si parla di resti della vita quotidiana, ma ovviamente i contesti sono completamente diversi e anzi ciascuno dovrebbe avere la propria dignità. L’obiettivo dell’Egitto è comunque quello di promuovere il turismo. Anche per questo stanno pubblicizzando una scoperta dopo l’altra. Questo è un modo per ridare vita al paese. Un po’ di fascinazione è funzionale.

Qual è la speranza degli egittologi, riguardo al sito?
GU: La speranza è che si pubblichino immediatamente dei report di scavo e articoli scientifici e ci sia la possibilità per gli altri studiosi di continuare ad approfondire il discorso.
MB: E ovviamente, ci auguriamo che la ricerca in questo sito continui e possa essere musealizzato, diventando uno dei punti di visita in Egitto. La speranza è che possano tornare presto i turisti in quella zona. Sarebbe un connubio perfetto.