“È straziante. Non ci sono parole per descriverlo. Lavoro per l’associazione da dieci anni e so cosa succede su queste navi. Ma ogni volta assistere a queste scene mi spezza il cuore”. Parliamo con Martina Stephany, direttrice della sezione dedicata agli animali degli allevamenti dell’associazione Four paws, un giovedì pomeriggio. Si trova a Cartagena, in Spagna, proprio in quel porto che nelle ultime settimane è stato teatro di eventi raccapriccianti che hanno coinvolto – e stanno ancora coinvolgendo – migliaia di animali.
Perché il porto di Cartagena è diventato famoso
È da qui che a dicembre 2020 sono partite le navi Karim Allah ed Elbeik, dirette rispettivamente in Libia e Turchia. Le imbarcazioni trasportavano migliaia di vitelli che dovevano essere venduti e uccisi nei paesi di arrivo. A causa di una malattia forse contratta dagli animali, sono state respinte dai porti di destinazione e hanno viaggiato per tre mesi nel Mediterraneo senza una meta. Centinaia di animali sono morti per gli stenti. I corpi di alcuni di loro sono stati gettati in mare. La Karim Allah ha fatto ritorno in Spagna solo la scorsa settimana e gli animali sono stati tutti abbattuti. Nel frattempo, proprio in questi giorni, il governo spagnolo ha obbligato la Elbeik a ritornare al porto dove i vitelli che trasporta andranno incontro alla stessa sorte.
Una faccenda che sarebbe forse passata inosservata se non fosse stato per il coraggioso lavoro degli attivisti che hanno denunciato ciò che stava succedendo e hanno contribuito ad informare l’opinione pubblica. Data la portata delle proteste in tutto il mondo, il porto ha fermato le esportazioni di animali vivi per qualche giorno, ma sono ora ricominciate, come se nulla fosse.
Al porto di Cartagena sono ricominciate le esportazioni di animali vivi
“Qui è ricominciato tutto come se fosse ordinaria amministrazione”, ci dice Stephany. “Da lunedì il porto ha ricominciato a caricare migliaia di animali sulle navi per esportarli verso paesi terzi. Siamo qui da qualche giorno e abbiamo visto camion arrivare in continuazione. Bisogna ricordarsi che quando arrivano nei porti, gli animali hanno già alle spalle dei lunghi viaggi. Una volta qui sono costretti a utilizzare delle rampe per salire sulle navi, ma spesso sono posizionate troppo in alto, sono ripide, inadatte alle loro zampe e ovviamente loro non vogliono salire. A quel punto vengono picchiati per obbligarli a farlo”.
Nessuno si assume la responsabilità di quello che succede
Una volta che le navi lasciano i porti, nessuno è considerato responsabile. Il quadro dipinto da Four paws è drammatico: gli animali passano settimane a bordo, schiacciati gli uni sugli altri al punto che alcuni non riescono nemmeno a raggiungere il cibo o l’acqua che in teoria dovrebbero avere a disposizione. Le navi sono vecchie e inadatte al trasporto di animali vivi, dato che in passato venivano utilizzate per spostare automobili. Non ci sono protocolli che li tutelino, nessun veterinario è a bordo e addirittura nessuno separa gli animali sani da quelli malati o morti, che a volte vengono persino gettati in mare. Quelli che sopravvivono sono spesso in condizioni critiche, pieni di funghi, problemi alla pelle e ovviamente esausti per il viaggio.
Le automobili sono trattate meglio di questi animali.
Nessuno si prende la responsabilità di ciò che continua a succedere sotto gli occhi di tutti. La faccenda della Karim Allah, ci fa presente Stephany, è solo la punta di un gigantesco iceberg. “Il trasporto di animali vivi è un business losco”, sottolinea. Il porto di Cartagena è il teatro di questi avvenimenti, ma gli attori coinvolti sono molti di più di quello che si potrebbe pensare. Si parla di allevatori, acquirenti, ma anche intermediari e trasportatori, così come membri delle autorità competenti che dovrebbero svolgere i controlli e organismi europei che non possono o non vogliono intervenire.
“È straziante pensare che solo una settimana fa, proprio qui, in questo porto, 900 animali sono stati uccisi e la stessa cosa succederà a quelli della Elbeik”, conclude.
Emergono nuovi inquietanti dettagli anche sulla Elbeik
Nel frattempo, mentre il business del porto di Cartagena riprende come se nulla fosse, con il ritorno della Elbeik emergono nuovi inquietanti dettagli che forniscono un’ulteriore testimonianza del sadismo e della sconvolgente non curanza di chi è coinvolto.
Secondo le informazioni diffuse da Animal Equality, il governo spagnolo sapeva che gli animali a bordo della Elbeik sarebbero stati respinti, 4 giorni prima dell’arrivo della nave in Turchia, dunque il 21 dicembre. Malgrado ciò, le autorità dello stato non si sono mai attivate per trovare una soluzione prima che fosse troppo tardi e non hanno nemmeno informato la Commissione europea una volta che le navi hanno iniziato a vagare per il Mediterraneo. Il primo Paese a farlo è stata l’Italia il 18 febbraio, quando il capo dei servizi veterinari italiani ha denunciato ciò che stava succedendo con la Karim Allah che ai tempi era ancorata nei pressi del porto di Cagliari. Si parla dunque di due mesi dopo.
“Il governo spagnolo avrebbe potuto prevenire le sofferenze di migliaia di animali alla deriva, abbandonati senza cibo; molti di loro sono morti. Non hanno mostrato alcun interesse per il benessere degli animali, ignorando la loro responsabilità. Se non si riesce a garantire il rispetto delle normative, è necessario porre fine al trasporto di animali vivi”, denuncia Alice Trombetta, direttrice esecutiva di Animal Equality Italia.
Sfoglia il magazine di Animal Equality su LifeGate
Cosa si può fare per mettere fine a tutto ciò
Le vicende del porto di Cartagena hanno contribuito a puntare i riflettori sul trasporto di animali vivi come mai prima d’ora. Questi animali hanno bisogno di essere visti e anche noi, come esseri umani, abbiamo bisogno di vedere cosa stiamo facendo a loro. Se da un lato le mancanze delle istituzioni sono evidenti e ingiustificabili, dall’altro bisogna anche ricordarsi che l’unico motivo per il quale un trasporto del genere esiste è perché c’è una domanda da parte dei consumatori. Quindi quando ci chiediamo “cosa possiamo fare?”, la risposta non può che essere una: ridurre (per quanto ci è possibile) il consumo di carne.
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.