“Non vogliamo perdere la nostra libertà e i nostri sogni. Vogliamo vedere il Myanmar come una società migliore con una vera democrazia”. A parlare è Kyaw Kyaw, cittadino birmano e frontman del gruppo punk Rebel Riot. Lui e gli altri membri della band stanno partecipando alle proteste in Myanmar iniziate dopo il colpo di stato compiuto dall’esercito il 1 febbraio 2021. Finora ci sono state più di 50 vittime, ma questo non ha fermato lo spirito punk e ribelle di Kyaw e dei Rebel Riot. Ecco cosa ci ha raccontato sulla situazione politica nel suo paese.
La storia travagliata del Myanmar
Essere anti-establishment, ovvero contro la classe dirigente, è la caratteristica principale della musica punk fin dai suoi albori, risalenti agli anni Settanta e al successo della band inglese Sex Pistols. Questa lotta alle istituzioni assume ancora più valore laddove gli organi politici sono realmente contro la democrazia: è il caso attuale del Myanmar, che anche in passato ha attraversato vari periodi di instabilità. “Il nostro paese – spiega Kyaw – è stato sottoposto ad un governo militare per 50 anni, dal 1962. Nel decennio 2010-2020 c’è stato un momento di riforma, ma la legge costituzionale del 2008 è stata pensata per aiutare i militari, quindi non possiamo dire che sia veramente democrazia. È chiaro che la democrazia non è così facile e veloce da ottenere in un sistema concepito dai generali. Tra il 2010 e il 2020 abbiamo vissuto un buon periodo rispetto a prima del 2010: internet era aperto, i media erano gratuiti e le persone potevano parlare di politica in pubblico. Siamo stati liberi fra il 2010 e il 2020. Ma non al 100 per cento, a causa appunto del controllo militare ancora presente”.
Il decennio che ha visto protagonista Aung San Suu Kyi è dunque ricordato come una fase positiva della storia del paese asiatico. Ma tutto è cambiato lo scorso febbraio. “L’1 febbraio 2021 abbiamo appreso che i militari stavano riprendendo il potere. All’arrivo della notizia, molte persone si sono mostrate arrabbiate. Ancora non riescono a crederci. Alla fine però tutti sono stati costretti ad accettarlo. Noi protestiamo perché vogliamo davvero la democrazia, non vogliamo essere ancora in un sistema militare. La prossima generazione non dovrebbe più vivere ciò che abbiamo vissuto noi. Vogliamo andare avanti. Vogliamo rifiutare ogni tipo di dittatura. Vogliamo libertà, uguaglianza e diritti umani. Ecco perché stiamo protestando”.
Fare punk in birmano
Il singolo One Day dei Rebel Riot è diventato la colonna sonora di molti giovani manifestanti in Myanmar. Chi protesta si fa notare con il simbolo delle tre dita al cielo, un gesto copiato dal film Hunger Games. “Per costruire una vera democrazia dobbiamo superare la Costituzione del 2008, rilasciare tutti i prigionieri politici, fermare la giunta militare e costruire un federalismo con tutti i gruppi etnici”, secondo il cantante. Che, passando ad argomenti più leggeri, spiega come le sue influenze musicali siano quelle delle subculture musicali degli anni Settanta e Ottanta.
“I punk – prosegue Kyaw – non sono molto famosi in Myanmar. Di solito non facciamo concerti nemmeno nella nostra città. Solitamente solo 4 o 5 concerti durante un anno e la maggior parte sono sotto i ponti e in alcune birrerie. Spero che alcune persone si interessino alla politica grazie alla nostra musica. Se è successo qualcosa del genere siamo molto felici. Ci auguriamo che questo colpo di stato finisca presto. Vogliamo vedere una società migliore senza che ci si scontri l’uno con l’altro”. Oltre Kyaw fanno parte dei Rebel Riot la giovane cantante Hnin, il chitarrista Wai Yan, il bassista Oakar e il batterista ZarNi. Le loro alte creste colorate e i giubbotti di pelle risaltano durante le proteste mentre le canzoni dalla batteria incessante e i riff di chitarra elettrica sembrano suonare ancora più forte se si pensa a dove sono state scritte e in quali condizioni. Il coraggio di Kyaw e dei suoi amici è diventato parte essenziale della lotta per il ritorno della democrazia in Myanmar.
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