Chi siamo
CNU – Global intergovernmental Organization (I.G.O.)
Partendo dalla penisola Italica la Global Intergovernmental Organization CNU inizia a muoversi prima in Europa ed in seguito anche oltre oceano. In pochi mesi ha cominciato a riscuotere consensi in varie Regioni sia europee che americane. I Confederati della CNU sono spinti dall’alto senso umanitario. Il loro compito è quello di aiutare, tutelare e promuovere le popolazioni e le comunità che rivendicano il principio di autodeterminazione, essere osservatori permanenti della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, farla rispettare e denunciare la non osservanza di questa. A tal riguardo ha tra le sue priorità quella di collaborare con le istituzioni presenti nei territori comuni al fine di incentivare il rispetto di questi e stimolare l’economia locale e la salvaguardia del Territorio.
- Nei primi mesi del 2022 inizia i suoi lavori di concertazione con la OSCE (Organismo per la Sicurezza della Comunità Europea) partecipando ai primi convegni dedicati agli organismi internazionali,
- sempre nel 2022 fonda le basi per la creazione di una Banca Internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico,
- Inizio di relazioni diplomatiche con Ambasciate estere di paesi firmatari il trattato dell’Aja
- Proseguo di relazioni diplomatiche con Popoli che hanno iniziato il percorso di rivendicazione dell’autodeterminazione, secondo Trattato Aja
Sovranità condivisa
Ad oggi di fatto, non è più pensabile rimanere agganciati ad una Sovranità condivisa di un territorio, sia in termini di sviluppo culturale che economico e sociale come concepita nel passato. Vista l’esperienza di questi anni di una Sovranità condivisa, sia in ambito sociale, culturale, come concepita nel passato, bisogna ricercare e proporre una nuova modalità di sovranità al fine di scongiurare una serie di focolai incontrollabili a discapito di ogni singolo popolo. Ricostruire pertanto una sovranità condivisa con nuove regole è un atto dovuto in quanto ciò che fino ad oggi è stato fatto, si è basato su un sistema apparentemente democratico, forse liberale e multilivello, ambizioso su molti aspetti ma dopo essere stato concepito e testato in questi ultimi decenni da grandi Federazioni, ancora oggi stenta a dare i suoi frutti, anzi. È proprio in seno a tali idee che si stanno rafforzando ideologie di sovranità statali o addirittura assolute e questo potrebbe essere un gioco pericoloso per tutta la società umana.
Quando si propone una sovranità condivisa a livello globale ma questa stenta a generare risultati è scontato che si rafforzi l’idea di una sovranità statale e che gruppi dormienti o comunità vedano proprio in questo meccanismo un pericolo fondato alla propria identità, portandoli di fatto a rivendicare a loro volta e con parimenti forza e determinazione, la propria sovranità. Rivendicazioni spesso disorganizzate o a volta estremistiche e quindi pericolose. Basti guardare all’Unione europea dove ancora oggi, seppur nata con l’ideologia federativa al fine di creare una sovranità condivisa del territorio europeo, con l’intento di frammentare il monopolio statale della sovranità per meglio spostarsi verso un sistema democratico multi-livello; ancora oggi i cittadini restano e sono ad oggi cittadini di uno Stato e non diretti cittadini Europei. Di fatto non esistono neppure specifici diritti e doveri europei di cittadinanza “europea” indipendenti dalla cittadinanza nazionale.
Questo dovrebbe far riflettere sul progetto in se stesso, forse visionario a tal punto da non essere mai realizzabile. In questo panorama viene quindi da chiedersi se sia il caso di riscoprire i valori profondi della multiculturalità e dei valori profondi dell’integrazione dei popoli, del riconoscimento dei popoli stessi quali risorse culturali, sociali ed economiche.
Forse considerare uno scenario dove vi sia attenzione e supporto all’autodeterminazione dei popoli, in modo da permettere una coesione maggiore fondato sul rispetto e sui diritti umani, dando luogo a una economia solida, più forte e condivisa. E’ questa la sfida che oggi porta la Confederazione sul panorama internazionale: Il riconoscimento delle popolazioni minori aiutandole in un percorso democratico basato sul rispetto dell’essere umano come singola entità con diritti, doveri e responsabilità dirette e nel contempo consapevole di essere parte integrante di un collettivo. Stimolare con forza le grandi federazioni statali ad incentivare e sostenere l’autodeterminazione dei popoli, allargare “realmente” il dialogo in tavoli di lavoro condivisi è quindi la miglior risposta ad una crisi sociale, culturale ed economica.
Pensare che la propria forza economica, frutto di una politica conservazionista a discapito delle innumerevoli forze intellettive, sociali e quindi dei tanti attori che potrebbero recitare da cooprotagonisti, è inevitabilmente la cronaca di una morte annunciata.
I tempi impongo rimedi alternativi ed è fondamentale testarne i potenziali benefici.
Le organizzazioni internazionali sono istituzioni interstatali che raggruppano membri di scala regionale o globale con diverse finalità. Si distingue generalmente tra organizzazioni intergovernative (OIG), istituite in base a trattati di diritto internazionale, e organizzazioni non governative (ONG), sebbene nel corso della storia si siano affermate anche forme ibride. Le organizzazioni non governative sono suddivise in imprese transnazionali a scopo di lucro (gruppi multinazionali) e in organizzazioni non profit, le sole a essere considerate organizzazioni internazionali in senso stretto.
Natura legale
Giuridicamente parlando, un’organizzazione internazionale può essere creata tramite uno statuto, un trattato o una convenzione che, nel momento della firma da parte dei membri fondatori, fornisce alla OIG un riconoscimento legale. Stabilendo così che le organizzazioni internazionali sono dei soggetti di diritto internazionale, capaci di prendere parte ad accordi tra loro stessi o con gli Stati[1] e, più in generale, di adottare e promuovere atti di soft law. Esse sono governate dal principio di specialità, ovvero non sono dotate, a differenza degli Stati, di competenza generale, ma si vedono attribuire dagli stati che le creano poteri i cui limiti sono fissati in funzione del perseguimento degli interessi comuni che esse hanno il compito di promuovere.
Da tempo si è ormai affermato che possiedono una personalità giuridica propria distinta da quella degli Stati che partecipano ad esse. A tale principio si ispira la giurisprudenza italiana del Novecento, ma i requisiti per la titolarità di una vera e propria personalità sono indicati nella necessaria autonomia, anche organizzativa, distinta da quella degli Stati membri, e nella presenza di una missione ben definita, con attribuzione di relative competenze al cui esercizio corrisponde la titolarità di uno specifico status nella comunità internazionale.
Tali caratteri sono emersi in un caso famoso sottoposto alla Corte internazionale di giustizia nel 1949, nello stabilire se l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) godesse del diritto al risarcimento del danno provocato dalla violazione di obblighi relativi al trattamento ed alla protezione internazionalmente dovuta ad un proprio agente. Nel caso si osservò che “la conclusione di accordi, di cui l’Organizzazione è parte, ha confermato il carattere di adeguata autonomia dell’Organizzazione che occupa una posizione per alcuni versi distinta dai suoi Membri ed ai quali ha il dovere, ove del caso, di ricordare il rispetto di certi obblighi”, ma anche che: “L’Organizzazione è stata destinata a godere di diritti che possono spiegarsi solo se ad essa è attribuita, in larga misura, la personalità internazionale e la capacità di agire sul piano internazionale. Si deve riconoscere che i suoi membri, assegnandole certe funzioni, l’hanno dotata delle competenze necessarie per permetterle di svolgere effettivamente queste funzioni”[2].
Nello svolgimento delle funzioni, il modello seguito dagli organi interni alle organizzazioni internazionali è diversificato: in alcuni casi, i collegi che presiedono alla vita dell’organizzazione sono definiti “organi di Stati”, perché i loro componenti agiscono ciascuno a titolo di rappresentanza degli Stati membri; in altri casi, il collegio viene definita come “organo di individui”, in quanto deve agire nell’interesse generale dell’organizzazione e non dello Stato di appartenenza (sia pure quello che ha designato ad entrare nel collegio). Quest’ultimo modello opera, soprattutto, per il personale dipendente, sia quando assunto per contratto, sia quando designato dagli Stati membri; nel caso degli organi giurisdizionali internazionali, questo principio si interseca con quello dell’imparzialità del giudice, affermato nel voto espresso da Dionisio Anzilotti nel caso del Vapore Wimbledon.
Così le organizzazioni internazionali, in senso legale, sono distinguibili dai semplici raggruppamenti di stati, come il G8 e il G7, poiché nessuno di essi è stato fondato da un atto istitutivo ed esiste solo come foro informale di discussione tra stati membri, benché in un contesto non giuridico alcuni si riferiscano erroneamente a questi come organizzazioni internazionali. Le organizzazioni internazionali devono essere anche distinte dai trattati. Molti trattati (ad esempio Accordo nord americano di libero scambio (NAFTA) o, nel periodo 1947-1995, l’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT) non stabiliscono un’organizzazione internazionale e contano semplicemente sulle parti contraenti per la loro amministrazione.