Esplorando il connubio tra legalità e giustizia: un’analisi della soddisfazione personale nel seguire le regole

26 luglio 2024,
Essere nel giusto, per esempio, seguire il percorso della legalità, non avere “sporcato” la nostra fedina penale ci gratifica: ci sentiamo parte del gruppo dei buoni, di quelli che seguono le regole e possiamo andarne fieri
Essere nel giusto, per esempio, seguire il percorso della legalità, non avere “sporcato” la nostra fedina penale ci gratifica: ci sentiamo parte del gruppo dei buoni, di quelli che seguono le regole e possiamo andarne fieri

Quando ero studente fare i compiti mi faceva sentire a posto con me stesso e con gli altri. Sono stato educato a seguire il motto “prima il dovere e poi il piacere”. Naturalmente anch’io non vedevo l’ora di potermi scapicollare in cortile per giocare con i miei amici, ma avere terminato i compiti mi dava un senso di soddisfazione, di appagamento.

Questa sensazione ho continuato a viverla anche finiti gli studi, quando alla fine della giornata lavorativa avevo conseguito gli obiettivi che mi ero proposto di raggiungere, anche se questo accadeva abbastanza di rado. Credo che fare il proprio dovere, sentirsi parte di un flusso che procede in canali codificati e condivisi da tutti ci dia una bella sensazione, ci faccia sentire “a posto”, con la nostra coscienza e nei confronti degli altri.

Essere nel giusto, per esempio, seguire il percorso della legalità, non avere “sporcato” la nostra fedina penale ci gratifica: ci sentiamo parte del gruppo dei buoni, di quelli che seguono le regole e possiamo andarne fieri. Credo che questo senso di appagamento sia condiviso dalla maggior parte delle persone ed è alla base della convivenza civile della nostra società. O è l’illusione del senso di appagamento? Seguire le regole ci dà soddisfazione? Se è così allora, forse, dovremmo continuare così.

Chissà, però, se indagando meglio il nostro essere, se ci chiedessimo con maggiore serietà come mai il conformarci alle regole comuni ci gratifica e appaga, chissà, dicevo, se non scopriremmo che non è tanto l’essere ligi nell’osservanza delle leggi ad appagarci, quanto il far parte di una moltitudine.

Chissà se ci adeguiamo al “così fan tutti” per evitare di sentirci disadattati, salmoni che nuotano controcorrente o se veramente crediamo nella giustezza delle norme stabilite da altri. Forse, magari inconsciamente, ci adeguiamo alle regole, che nemmeno conosciamo molto bene, solo perché è più facile seguire una via già tracciata piuttosto che aprirne di nuove e più personali che potrebbero portarci a farci molte, forse troppe, domande sconvenienti. Come dice Krishnamurti l’umanità non vuole essere disturbata.

“Ma non si può vivere senza regole! Sarebbe il caos, l’anarchia!”, direte voi. Forse sì…o forse no.

Pensate che il buonsenso da solo non sarebbe sufficiente? Potreste obiettare che il mio buonsenso non necessariamente collimerebbe con il vostro e forse potreste aver ragione. Ma se al buonsenso aggiungessimo un cosciente rigore interiore, un rigore etico, di buona convivenza civile e sociale, non credete che questi due elementi insieme potrebbero essere sufficienti a gestire una serena convivenza della nostra specie? Dite che questo concetto somiglia molto all’anarchia? Non credo, io vi propongo di andare ancora oltre e, anche, di non cercare di etichettare il mio pensiero con termini di seconda mano.

Sembra che Gli anarchici non professano affatto l’assenza di ordine, di regole e/o di strutture organizzate […] 2 Se questo è vero, ciò che sto dicendo non appartiene al pensiero anarchico. Io voglio credere che l’essere umano sia in grado di scernere tra ciò che è utile al nostro vivere in comunità e quello che non lo è. Mi ostino a pensare che tutti noi sappiamo quando il nostro agire o pensare potrebbe entrare in collisione con l’interesse della comunità. Chi non vuole vedere la vertà di questo sentire è colui che, nonostante l’attuale esistenza di regole e norme, le elude o infrange senza alcuna remora.

Penso sia utile che prendiate coscienza della differenza tra i termini “legalità” e “giustizia”. Legalità è ciò che le convenzioni stabilite dall’ordinamento politico/giuridico stabiliscono come permesso, praticabile; convenzioni che possono variare nel tempo: fino al 1946 non era legale che una donna potesse votare, le coppie italiane possono divorziare legalmente dal 1970, ecc.

Il senso di giustizia non ha nulla a che fare con la legge. Quante volte abbiamo sentito di criminali lasciati liberi a causa di cavilli burocratici o di cosiddetti “vuoti legislativi”, oppure per mancanza di testimoni o altro? Ma il fatto che un criminale la faccia franca non è sicuramente giusto, nonostante sia legale. Inoltre, permettetemi un’alzata di sopracciglio scettica: vuoti legislativi? Ma di quante leggi abbiamo ancora bisogno?

 In Italia vi sono circa 160 mila norme, di cui poco più di 71 mila approvate a livello nazionale e 89 mila dalle Regioni e dagli Enti locali. Un groviglio legislativo che è 10 volte superiore al numero complessivo – 15.500 – di leggi presenti in Francia (7.000), in Germania (5.500) e nel Regno Unito (3.000)1.

E c’è ancora chi crede che sia attraverso la legge che passa la convivenza sociale, che tutto debba essere normato e regolato, quando è evidente non solo che le leggi vengono comunque infrante, ma che più cerchiamo di regolamentare il nostro vivere e più restiamo impigliati e rallentati da questa bulimia normativa. O pensiamo che il Regno Unito con le sue misere tremila leggi sia uno Stato di criminali e contraffattori, al pari di Francia e Germania?

Facciamo un passo indietro, fermiamoci, lasciamo andare le nostre convinzioni, liberiamoci dal conosciuto e caliamoci nel nostro profondo. Sentiamo ciò che è vero dentro di noi. Noi siamo capaci di cose straordinarie; così come è facile vedere il nostro essere eccezionali attraverso le conquiste scientifiche e tecnologiche potrebbe essere altrettanto facile vedere di cosa saremmo capaci se solo ascoltassimo più il nostro cuore che i telegiornali o i cosiddetti maestri.

Per far ciò dobbiamo sentire il bisogno di un cambiamento radicale del nostro essere, l’unico che porterebbe alla nascita di una società diversa, forse del vero Eden, come indicavo in un mio precedente articolo qui su Meer 3.

Mi vengono in mente le frasi di una famosa canzone del 1971, momento storico in cui credevamo di essere difronte a una svolta epica. Una canzone di Graham Nash dal titolo Chicago, che si riferiva al processo tenutosi in quella città nel 1968 e passato alla storia come “il processo ai Chicago seven”:

“Possiamo cambiare il mondo, riorganizzare il mondo. Sta morendo, se credi nella giustizia. Sta morendo, se credi nella libertà. Sta morendo, lasciate che un uomo viva la propria vita. Sta morendo, regole e regolamenti, chi ne ha bisogno? Buttateli fuori dalla porta!”

Sitografia

1 Fonte ANSA.

2 Come si legge sul sito anarcopedia.org.

3 L’articolo in questione è Cambio di paradigma.

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Di |2024-07-27T12:24:24+02:00Luglio 27th, 2024|Breaking news|0 Commenti

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