L’annuncio è arrivato il 13 aprile. Il governo giapponese ha comunicato di avere ufficialmente deciso di rilasciare oltre un milione di tonnellate di acqua radioattiva trattata nell’oceano Pacifico, con inizio previsto tra due anni. Al momento, l’acqua viene tenuta in grandi cisterne nei pressi della centrale nucleare di Fukushima Daiichi dopo essere stata usata per raffreddare i reattori della centrale, dove è in corso un lungo processo di dismissione in seguito ai gravi danni causati dal terremoto e dallo tsunami che hanno colpito il Giappone l’11 marzo 2011. La decisione di rilasciare l’acqua contaminata ha sollevato le proteste dei gruppi ambientalisti, che lamentano i rischi per la salute umana causati da radionuclidi come il carbonio-14, delle cooperative di pescatori locali, che temono il danno reputazionale che potrebbero subire a causa della presenza di trizio (un altro radionuclide) nell’acqua, e di paesi vicini come la Corea del Sud e la Cina.
“Crediamo che la decisione sia stata presa anni fa”, dice Azby Brown, responsabile ricerca dell’organizzazione di monitoraggio ambientale Safecast. Brown ha lavorato per molti anni nell’arte e nell’architettura e nel 2003 ha fondato il Kit future design institute, un laboratorio di ricerca indipendente a Tokyo che ha concluso la sua attività nel 2017. Quando il “triplice disastro” del terremoto, dello tsunami e del disastro nucleare hanno colpito il Giappone – dove Brown vive dal 1985 –, ha iniziato a dedicare sempre più del suo tempo a Safecast, un’ong che in seguito ai tragici eventi di marzo 2011 ha iniziato a monitorare, raccogliere e condividere informazioni sulle radiazioni.
Da allora, Safecast ha allargato le sue attività, condividendo dati sulle radiazioni e sulla qualità dell’aria raccolti principalmente da volontari in tutto il mondo. Ed è diventata una fonte importante di informazione indipendente su quello che è successo e sta succedendo a Fukushima. Negli ultimi dieci anni, Brown, insieme a Safecast, è stato instancabilmente impegnato nel chiedere più trasparenza nella gestione delle conseguenze del disastro. Insieme a lui, cerchiamo di capire perché il governo giapponese ha deciso di approvare il rilascio di acqua radioattiva nonostante così tante persone siano contrarie.
Il Giappone ha deciso di rilasciare l’acqua contaminata di Fukushima Daiichi nell’oceano. Dobbiamo preoccuparci per la nostra salute?
Dipende. Se Tepco (la Tokyo electric power company, proprietaria di Fukushima Daiichi e incaricata del processo di dismissione, ndr) sarà in grado di rimuovere gli altri radionuclidi oltre al trizio e al carbonio-14, diluire l’acqua e rilasciarla in piccole quantità nell’arco di molti anni, come dice che farà, non credo abbiamo molto di cui preoccuparci in termini di danni alla salute. Non è che il rischio non ci sia, ma sarebbero abbastanza limitato. Ma anche con queste premesse, ci sono cose ancora poco chiare.
In Francia, l’impianto di ritrattamento del combustible nucleare di La Hague rilascia il trizio nel mare da decenni. Qui viene effettuato un monitoraggio attento e trasparente dell’acqua, dell’ambiente marino e di quello terrestre a cui partecipano anche gruppi di cittadini come Acro. Organizzazioni come l’Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare, che ha prodotto la migliore ricerca su questo tema, sostengono che non sappiamo ancora abbastanza sugli effetti del trizio legato organicamente, che è uno dei componenti del trizio che verrà rilasciato.
Non credo che dovremmo essere preoccupati o smettere di mangiare pesce o niente del genere, ma dobbiamo rimanere vigili e assicurarci che (il governo giapponese e la Tepco) facciano quello che dicono che faranno. Si tratta nel complesso di una quantità significativa di trizio e ci sono anche altri radionuclidi nell’acqua nelle cisterne, come lo stronzio-90, il rutenio-106, lo iodio-129 e il cobalto-60. E la Tepco si è dimostrata molto poco trasparente in passato, avendo diffuso informazioni ingannevoli e addirittura false. Anche se alcuni dicono che il trizio rilasciato non sarà molto, ci sarebbe comunque abbastanza stronzio-90, che ha una vita media molto lunga, da preoccupare seriamente perché potrebbe accumularsi nel pesce e nel fondale marino. Dobbiamo prestare attenzione affinché questo non succeda.
Recentemente, hai scritto che il rilascio dell’acqua potrebbe creare un precedente rischioso a livello internazionale. In che modo?
Nel 2011 c’è stato il precedente del rilascio di significative quantità di acqua contaminata da Fukushima Daiichi per fare spazio ad acqua ancora più radioattiva. Esistono trattati internazionali e linee guida dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) che stipulano cosa dovrebbe succedere prima, durante e dopo qualsiasi tipo di rilascio transfrontaliero di materiali nucleari. Ma nessuno di questi trattati o accordi è vincolante o dice nello specifico che sia vietato rilasciare acqua radioattiva nell’oceano da una fonte sulla terraferma. Questo è un grosso problema. La nostra preoccupazione più grande è che questo potrebbe creare un precedente per trasgressori ancora meno trasparenti e potenzialmente più pericolosi.
Alcuni paesi produttori di energia nucleare potrebbero decidere di non tenere conto delle rimostranze dei loro vicini e rilasciare liberamente materiale nucleare nell’oceano, citando Fukushima come esempio. Cosa fermerebbe la Russia dal decidere unilateralmente di rilasciare scorie nucleari nel mar Glaciale artico o nel mar del Giappone? O la Cina nel mar del Giappone o nel mar Cinese meridionale? O gli Emirati Arabi Uniti nel golfo Persico?
Qual è il rapporto tra la Tepco e il governo?
Il governo giapponese è l’azionista principale della Tepco. Negli anni, l’agenzia nucleare giapponese, che è governativa, ha messo pressione alla Tepco in diverse occasione, ma ha anche raccomandato alla Tepco di diluire l’acqua e rilasciarla nell’oceano. Il governo ha sostenuto questo piano sin dall’inizio. È una specie di “danza del kabuki” (un’espressione che viene dall’inglese che si riferisce a una forma teatrale giapponese e che significa “dramma politico”, ndr). Quando viene chiesto alla Tepco se vuole rilasciare l’acqua, la sua risposta è che sta al governo deciderlo. E anche l’Iaea l’ha suggerito. Quindi sia la Tepco che il governo dicono che l’Iaea sostiene che sia la cosa migliore da fare.
Seguiamo questa vicenda sin dall’inizio e siamo costantemente impegnati a mettere in luce problemi di trasparenza e di comunicazione, incluso nel modo in cui le politiche vengono create e le decisioni prese. Anche in questo caso, non è chiaro chi abbia preso la decisione finale. Forse è stato il primo ministro giapponese Yoshihide Suga, che è voluto salire su questo carro.
Hai parlato della mancanza di trasparenza della Tepco. Del governo giapponese, invece, ci si può fidare?
Non esiste una soluzione pulita dal punto di vista ambientale a questa situazione. Si tratta di scegliere la meno peggiore: e forse ci sono buone ragioni per pensare che diluire e rilasciare l’acqua gradualmente sia la meno deplorevole tra tutte. Persone come Ken Buesseler dell’istituto oceanografico di Woods hole (negli Stati Uniti, ndr) credono che si dovrebbe prima tenere l’acqua nelle cisterne per 60 anni o più, in modo che la radioattività cali nel frattempo. Il governo sostiene di avere esaminato la possibilità di tenere l’acqua a lungo termine in cisterne più forti (e quindi meno suscettibili ai rischi causati dai disastri naturali, ndr) ma non sono convinto che l’abbiano esaminata attentamente. Non c’è un rapporto dettagliato sulla questione.
Qui entriamo nelle dinamiche burocratiche e governative, dove nessuno ha alcun incentivo a fare di più di quello che gli è stato ordinato di fare. Per quanto riguarda la faccenda dell’acqua, penso che la decisione sia stata presa anni fa. Era una questione già chiusa e hanno cercato di influenzare l’opinione pubblica in modo che venisse accettata.
Tornando alla fiducia, nel 2018 ho parlato con persone alla Tepco, al governo, cooperative di pescatori e altri ricercatori. Ero soprattuto interessato a sapere cosa ci fosse nell’acqua oltre al trizio. L’ho chiesto a diversi ingegneri Tepco, che mi hanno sempre mostrato dati che parlavano solo di trizio. Nel settembre di quell’anno, si è scoperto che il sistema di trattamento dell’acqua (la struttura di rimozione dei radionuclidi Alps, ndr) aveva avuto dei problemi, sopratutto all’inizio, e che c’erano molti altri radionuclidi nell’acqua nelle cisterne (tra cui livelli sopra i limiti di stronzio-90, cobalto-60 e rutenio-106, come Brown precisa in un suo recente articolo, ndr). Ero davvero arrabbiato. Gliel’avevo chiesto gentilmente e direttamente più volte e ogni volta mi hanno mentito.
Perché hanno mentito? Chi gliel’ha fatto fare? Chi stava cercando di tenere queste informazioni nascoste? Non so ancora rispondere a queste domande. La misinformazione parte dall’alto e le persone incaricate della comunicazione, quando si rendono conto che i loro capi gli stanno mentendo, devono decidere quale sia la loro responsabilità. Non bisogna fidarsi del governo e della Tepco a meno che le informazioni non vengano verificate.
Sembrerebbe che il sistema Alps sia in grado di rimuovere radionuclidi potenzialmente dannosi eccetto il trizio e il carbonio-14 quando opera al massimo della sua capacità, ma è pericoloso presumere che tutte e 1,2 milioni di tonnellate di acqua che sono ora nelle cisterne, più le quantità altrettanto enormi che verranno generate in futuro, potranno essere efficacemente trattate secondo standard rigorosi senza eccezioni nel corso di decenni.
Cosa possiamo dire invece delle competenze del governo e della Tepco?
Dovremmo continuare a essere scettici delle capacità del governo e della Tepco di gestire bene queste cose. Molta della comunicazione del governo giapponese ha come obiettivo quello di mascherare la sua mancanza di competenze. Non vogliono fare promesse che potrebbero essere politicamente rischiose, quindi fanno promesse vague, ad esempio che “faremo del nostro meglio per ridurre il rischio il più velocemente possibile, come ridurre la dose di radiazioni aggiuntive a Fukushima a 1 millisievert all’anno”. Dov’è il piano? Fateci vedere il piano. I veri bisogni della gente sono l’ultima delle priorità.
La decisione di rilasciare l’acqua è stata presa nonostante forti voci di protesta. In che modo è stata presa “unilateralmente”, come l’ha descritta lei?
Il governo, chi considera come stakeholder? Gli stakeholder dovrebbero essere definiti in modo ampio, inclusivo e internazionale. Questo linguaggio si trova negli accordi, eccetera, ma non è vincolante. In Giappone, le cooperative di pescatori locali sono considerate uno degli stakeholder principali. Nel corso degli anni, l’acqua di Fukushima Daiichi è già stata rilasciata da due fonti. Una è il “bypass”, pozzi a monte dei reattori che catturano l’acqua della falda prima che raggiunga i reattori. L’acqua viene trattata, testata e se i livelli sono abbastanza bassi, rilasciata. Poi ci sono i pozzi sotterranei che circondano i reattori. È stato raggiunto un accordo con le cooperative di pescatori, che hanno detto che non si sarebbero opposte al rilascio da queste fonti se le analisi fossero effettuate anche da enti terzi. Quindi, non sono contrarie al rilascio di acqua in generale, ma è quest’acqua che verrà rilasciata (tra due anni, ndr) che contiene un contaminante specifico che preoccupa i pescatori a causa di come la percezione pubblica potrebbe impattare il loro mercato.
Bisogna coinvolgere le persone nel processo di valutazione, in modo che possano decidere se accettare questa scelta o meno. Safecast crede che le persone siano libere di rifiutarla anche per ragioni che potrebbero non sembrare scientifiche. In questo caso, i pescatori erano così fortemente contrari al rilascio dell’acqua, e poi il governo ha deciso di procedere lo stesso. E poi cos’è successo? L’Iaea ha dato il suo assenso e il governo statunitense pure. Il Giappone ora può dire che la decisione non è stata presa unilateralmente.
Considerando che il governo vuole far ripartire l’energia nucleare, possiamo dire che il movimento anti-nucleare giapponese, che è cresciuto moltissimo in seguito al disastro, abbia fallito?
Anche se la maggior parte della popolazione è contraria all’energia nucleare, questa posizione non si traduce nelle politiche energetiche del governo. Dopo il disastro, c’è stato un esame di coscienza collettivo… ma non è cambiato quasi nulla a livello governativo. Ci sono stati, però, molti cambiamenti che sono partiti dal basso. Si sono sviluppati movimenti ambientalisti abbastanza forti in Giappone e si stanno sperimentando molte alternative nell’ambito dell’alimentazione, dell’energia, delle foreste e dell’acqua. Riguardo alle ripartenza del nucleare, è importante notare che molti governi locali e prefetturali sono disposti a opporsi al governo centrale cercando di bloccare la riapertura delle centrali.
Tornando al rilascio dell’acqua di Fukushima Daiichi, hai parlato della necessità di eseguire “una valutazione d’impatto e un processo di verifica robusti”. A che punto siamo in questo senso?
Molto lontani in termini di valutazione d’impatto, al momento. Nei documenti recenti viene menzionato quello che (il governo e la Tepco) considerano una valutazione d’impatto, ma che in realtà è un modello di dispersione: hanno modellato dove il trizio andrebbe nell’oceano – nota che prendono in considerazione solo il trizio. Questa non è una valutazione completa, è semplicemente un modello di dispersione. L’Iaea ha pubblicato un rapporto l’anno scorso in cui c’è scritto che spera di vedere una valutazione d’impatto ambientale più completa. Sarebbe stato facile per il direttore dell’Iaea, quando ha fatto il suo annuncio dopo che il piano di rilascio dell’acqua è stato confermato, dire che sarebbe stato disposto a sostenere il piano solo dopo avere visto una valutazione completa. Perché non l’ha fatto? Perché non c’è.
Crediamo che un monitoraggio ambientale indipendente e completamente trasparente debba essere effettuato prima, durante e dopo l’ipotetico rilascio per assicurare che il processo possa essere accettato da tutta la comunità globale.
In termini di monitoraggio, l’Iaea – che è un ente internazionale con le proprie reti e i propri laboratori – dice che sarà coinvolta. Io dico, apritelo a tutti: ricercatori indipendenti, gruppi in Giappone e altrove. I dati del monitoraggio dovrebbero essere sempre aggiornati e ad accesso libero. Avrebbero dovuto iniziare a fare tutto questo anni fa, perché a prescindere dalla decisione finale sul destino dell’acqua, avrebbero avuto bisogno di valutazioni ambientali e un monitoraggio inclusivo.
Ora abbiamo due anni per mettere in piedi tutto questo, e la prima sfida sarà quella di convincere l’Iaea, il governo giapponese e altri governi che bisogna farlo. I cittadini – non solo dei paesi del Pacifico, ma anche gli altri – possono chiedere al proprio governo di esigere di partecipare a questo processo.
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