In un anno e oltre dall’arrivo della pandemia e delle misure restrittive, stile di vita e abitudini quotidiane sono radicalmente cambiati. Abbiamo passato gran parte del nostro tempo in casa, con limitate possibilità di uscire e di coltivare relazioni sociali, dedicandoci di più alle attività domestiche, lavorative e di gestione familiare. Anche l’ascolto della musica, che per molti rimane una compagna di vita essenziale, è stato influenzato da come, dove e quando abbiamo trascorso questo prolungato ritiro.
In ogni caso, la musica ha riconfermato il suo potere salvifico, catartico, di sfogo e regolazione delle emozioni. Ci ha aiutato ad affrontare ansia, noia e tristezza. Ha smosso l’apatia di un tempo ripetitivo, pesante. Ci ha stimolati, rassicurati e persino rallegrati. Ci ha fatto evadere nella solitudine delle nostre stanze, o ballare con i bambini intorno, in un caotico girotondo. Ci ha permesso di immaginare un tempo diverso, di rifugiarci nella nostalgia del passato o di avventurarci nelle novità del futuro. Di certo, non smetterà mai di essere un’amica affidabile: con lei si può sempre viaggiare stando fermi.
Ascolto condiviso
Quello che ascoltavamo in auto, in ufficio, in palestra e in altri luoghi, durante il lockdown lo abbiamo potuto ascoltare soltanto da casa. Ci siamo tuffati nello streaming di musica e podcast, film e serie tv, ma anche giochi, come mai prima d’ora. Spotify, tra le piattaforme più utilizzate al mondo, ha superato i 150 milioni di abbonati a pagamento e 345 milioni di utenti attivi mensili. L’ascolto individuale ha lasciato spazio alla condivisione e all’ascolto di gruppo con parenti e amici, vicini e lontani, attraverso playlist collaborative, selezioni musicali per feste zarty (i party su Zoom) e karaoke a distanza.
Nuove playlist, vecchie canzoni
Secondo uno studio Nielsen, le abitudini di ascolto hanno subito un drastico cambiamento nei mesi di chiusura, avvicinando un numero crescente di persone a canzoni meno recenti, cioè pubblicate da almeno un anno e mezzo, e musica più familiare, rassicurante, per staccare dalla realtà. Tuttavia, l’esplorazione di artisti emergenti, su canali tradizionali e su nuove piattaforme come TikTok, non si è mai fermata. Le playlist di Spotify, che rispecchiano l’andamento degli eventi, hanno mostrato come le scelte musicali siano virate verso il passato all’inizio della pandemia e nel corso delle proteste del movimento Black lives matter negli Stati Uniti.
Lo stesso è avvenuto all’inizio di quest’anno, un momento particolare di riflessione e cambiamento spesso accompagnato da colonne sonore a tema. Per lasciarsi alle spalle il turbolento 2020, il sentimento più comune di chi ha avuto un qualsiasi legame con la musica e l’ascolto è stato quello di un grande stravolgimento. Nei gusti, in scia agli stati d’animo, così come nei generi preferiti e nella frequenza d’ascolto. Chi prima privilegiava musica ritmata, può aver allentato la tensione con brani strumentali e rilassanti. Alcuni hanno riversato la propria frustrazione in suoni più aggressivi, altri invece hanno addirittura smesso di ascoltare qualsiasi tipo di musica, magari preferendo dedicarsi alla lettura, alla cucina o ad attività meditative.
Per molti l’inizio dell’anno nuovo è coinciso con il desiderio di ripartire sotto la spinta di brani che tirassero su il morale, con canzoni che infondessero un senso di rassicurazione oppure quello – mai svanito – della tristezza in cui crogiolarsi. Tra le parole più frequenti utilizzate nelle ricerche musicali, sono apparse “serotonina”, “fiducia” e “triste”. Nei primi undici giorni del 2021, la parola “serotonina” era contenuta nei titoli di ben 7.500 playlist su Spotify, una tendenza comunque già emersa nel 2020 con un aumento del 180 per cento rispetto all’anno precedente.
La portavoce di Spotify, Shanon Cook, ha raccontato al media In The Know che molti ascoltatori trovano più rassicuranti le voci femminili, tra cui quelle di Beyoncé, Ariana Grande e Lizzo. E in effetti, nei primi mesi del 2021, la musica al femminile ha dominato in modo schiacciante le playlist sul tema “confidence”.
Effetto nostalgia sull’ascolto
L’ascolto che conforta, eleva o trasporta l’animo in situazioni di crisi come la pandemia è per lo più inaspettato e legato al sentimento di nostalgia. Il critico musicale del Guardian, Alexis Petridis, descrive una sua piacevole serata trascorsa “ascoltando canzoni mumcore, il tipo di musica verso cui i miei genitori gravitavano quando ero bambino, da qualche parte in cima alle classifiche pop e easy listening. In quel particolare momento mi è sembrata rassicurante, era come sguazzare nella nostalgia di un tempo, quando non avevo niente di cui preoccuparmi”.
Lo conferma una ricerca del dottor Timothy Yu-Cheong Yeung dell’università di Lovanio, in Belgio, che illustra come il lockdown abbia notevolmente modificato il consumo di musica spingendo gli ascoltatori verso l’effetto nostalgia. Lo studio, che ha elaborato i dati di diciassette trilioni di canzoni suonate su Spotify in sei paesi europei (Svezia, Regno Unito, Spagna, Francia, Belgio e Italia), analizza il successo recentemente ritrovato, sull’onda della nostalgia, di vecchi brani come Africa dei Toto (1982), Don’t stop me now dei Queen (1979), Tiny dancer di Elton John (1971) o Here comes the sun dei Beatles (1969).
Vogliamo solo essere felici
Riascoltare canzoni della nostra infanzia può evocare esperienze positive e catartiche. A sostenerlo è pure la musicoterapeuta Jessica Pouranfar, che in un’intervista spiega: “La musica attiva il lobo temporale, responsabile della memoria, del linguaggio e dell’udito. I malati di Alzheimer, quando attiviamo quella parte del loro cervello usando la musica che ascoltavano, reagiscono sorridendo e cantando insieme. La nostalgia è davvero potente”.
Ma non sempre è così. A volte, persone ansiose provano a calmarsi di proposito attraverso musica rilassante, ma diventano ancora più ansiose. “Questo accade perché la musica non incontra il loro stato emotivo”, dice Pouranfar. Per non parlare dei danni potenziali causati dall’ascolto di canzoni del passato che, invece di essere legate a bei ricordi, riportano a galla traumi. Oppure esperienze positive, ma dolorose da ricordare in questo momento. Il fatto di non poter andare ai concerti e ai festival a causa del coronavirus, per esempio, potrebbe impedirci di ascoltare le nostre band preferite perché ci farebbe stare male, se non peggio.
Qualunque sia il nostro modo di affrontare questo periodo difficile, con o senza musica, alla fine ciò che conta è che “vogliamo sentirci bene, perché ci meritiamo di sentirci bene”, conclude l’accademica. Anche se nel mondo stanno aumentando ingiustizie sociali e altre situazioni terribili per via della Covid-19, “abbiamo ancora quell’innata sensazione di voler essere felici e il modo in cui ci avviciniamo alla musica lo riflette”.
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