Quando qualche settimana fa il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato che sosterrà la possibilità di sospendere temporaneamente i diritti sulla proprietà intellettuale per i vaccini sviluppati contro la Covid-19. La maggior parte delle nazioni africane, così come ong e organizzazioni internazionali come l’Unione africana (Ua) si sono rallegrate e hanno apprezzato l’iniziativa. Ovviamente una decisione simile permetterebbe a tutte le compagnie farmaceutiche interessate di produrre in modo indipendente i vaccini anche nei paesi in via di sviluppo.
Con la pandemia globale in corso si è molto riflettuto sulla tutela della salute come un bene pubblico globale da porre anche al di sopra della protezione della proprietà intellettuale e di interessi privati in casi di estrema emergenza quando c’è in gioco la vita di milioni di persone. Le lobby farmaceutiche e gli interessi economico-politici continuano però a spingere in senso contrario.
Solo l’1 per cento dei vaccini in Africa
Sull’accesso alla vaccinazione, come si temeva, sono molte le nazioni lasciate indietro e quelle africane rappresentano il fanalino di coda della classifica globale, nonostante le tante promesse e iniziative nate dopo l’annuncio della scoperta del vaccino. Secondo i dati dell’Oms, nel continente è stato somministrato solo l’1 per cento delle dosi di vaccino a livello mondiale, con un ulteriore calo rispetto a qualche settimana fa quando ci si avvicinava al 2 per cento. Secondo le stime, a questo andamento l’Africa non raggiungerà gli obiettivi vaccinali per raggiungere l’immunità non prima del 2023, infatti, mentre nel resto del mondo sono state somministrate 150 dosi ogni mille abitanti in Africa siamo ancora a 8 dosi ogni mille abitanti.
Un continente poco colpito
È vero che il continente non ha vissuto la crisi sanitaria come altre regioni del mondo. Stando ai dati a disposizione, il continente ha registrato poco più di 4,6 milioni di contagi e poco più di 125mila vittime. Ci sono molte variabili e possibili interpretazioni sulla diversa evoluzione della pandemia e dei suoi effetti. Si è parlato di una diversa resilienza alla malattia dovuta a una piramide demografica particolarmente giovane e a una diversa resistenza immunitaria al virus, ma anche dei dubbi sull’attendibilità dei dati raccolti dato che i sistemi di rilevamento sono poco efficienti in alcuni paesi.
Solo la ricerca aiuterà a comprendere, tuttavia anche se i casi sono di nuovo in calo dopo un breve picco registrato attorno a gennaio e l’Africa sia l’unico continente ad aver sviluppato una strategia unificata nella lotta pandemica, “non bisogna abbassare la guardia se si vuole evitare il dramma in corso in India”, come affermato recentemente dal direttore dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, il quale ha denunciato il pericolo rappresentato dal lento tasso di vaccinazione in regioni dove i sistemi sanitari sono vulnerabili.
Vaccini a velocità variabile
Gran parte del continente dipende dagli aiuti internazionali per l’accesso ai vaccini. Lo strumento principale è stato il programma Covax sostenuto dall’OMS e da altri organismi internazionali e fondazioni. Un progetto che mira a fornire i vaccini ai paesi più poveri e vorrebbe far ottenere all’Africa 600 milioni di dosi, sufficienti per vaccinare almeno il 20 per cento della popolazione. In alcuni paesi si aggiungono anche le donazioni, non disinteressate, di altre potenze economiche come Russia, India, Cina ed Emirati Arabi.
Le prime consegne di vaccini attraverso dal Covax sono iniziate a fine febbraio e la maggior parte dei paesi africani si è iscritta al programma. Ad oggi nel continente sono arrivate circa 37 milioni di fiale e sono sei le nazioni che non ne hanno ancora ricevute: Tanzania, Burundi, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Ciad ed Eritrea. Il Madagascar che aveva deciso di non farne uso, di recente è tornato sui suoi passi dopo una nuova ondata di contagi.
Sono grossi i divari registrati nella somministrazione. Ci sono infatti otto paesi che hanno già esaurito le scorte di vaccini che hanno ricevuto dal programma, mentre sono nove quelli che hanno somministrato meno di un quarto delle dosi ottenute e ben 15 i paesi che ne hanno somministrato meno della metà, secondo l’Oms.
La sfida della distribuzione
Da questi risultati emerge che i governi africani non devono solo affrontare la sfida di procurarsi le dosi ma anche quella di somministrarle a causa della carenza di personale sanitario specializzato e delle infrastrutture sanitarie di distribuzione e conservazione (come il sistema di refrigerazione per il mantenimento della catena del freddo), ma anche la diffidenza della popolazione nei confronti della malattia e del vaccino. Infatti, nelle scorse settimane ha fatto scalpore la notizia che alcuni paesi sono stati costretti a buttare le dosi non più utilizzabili come in Malawi, Sud Sudan, e oltre 1milione e 300mila in Repubblica democratica del Congo.
Come testimoniato da molti paesi, come ad esempio il Senegal, i governi stanno registrando scarsa adesione alle campagne perché in generale tra l’opinione pubblica non si sente la necessità di correre a vaccinarsi per una malattia che non viene vista come una minaccia, ma come un “virus degli occidentali”. Anche qui, tramite fake news di ogni genere, si è diffuso un senso di diffidenza nei confronti del vaccino e in particolare per quello prodotto da Astra Zeneca, molto usato dal Covax. Il timore che questa tendenza si espanda è talmente forte che l’Oms ha lanciato la campagna Viral Facts Africa per la verifica delle notizie sanitarie.
Al di là di questi ostacoli una sospensione dei brevetti aiuterebbe sicuramente i paesi africani a realizzare campagne più ragionate anche attraverso la sensibilizzazione. Al momento ci sono solo cinque paesi africani: Senegal, Marocco, Tunisia, Egitto e Sudafrica che sarebbero in grado di produrre vaccini, ma la produzione potrebbe aumentare come annunciato di recente dall’Oms riferendosi a paesi interessati come il Rwanda.
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