Una nuova mobilità può contrastare l’inquinamento atmosferico delle principali città italiane ed europee, limitando i costi sociali e sanitari che ne derivano. Si concentra sul trasporto – che, è bene ricordarlo, ha impatti minori sulla qualità dell’aria rispetto al riscaldamento domestico e all’industria – un nuovo studio dell’Alleanza europea per la salute pubblica, una realtà che rappresenta oltre 80 Ong che si occupano del tema; un lavoro incentrato in particolar modo sull’impatto dei veicoli più vecchi e inquinanti, e sulle strategie messe in atto per limitarne la circolazione.
Particolato e ossidi di azoto, come cambiano i valori
La ricerca evidenzia come lo stop ai veicoli inquinanti potrebbe ridurre l’inquinamento da particolato nocivo e da ossidi di azoto nelle città con oltre un milione di residenti rispettivamente fino al 23 per cento e al 36 per cento, risparmiando fino a 130 milioni di euro all’anno in costi sanitari e in spese ad essi correlati. I ricercatori hanno esaminato 28 diverse tipologie di politiche urbane legate alla mobilità attualmente adottate in diversi contesti – dagli autobus pubblici a emissioni zero alla condivisione di scooter elettrici – per valutarne gli effetti sulla riduzione di Pm10, Pm2,5 e NOx.
Limitare i veicoli dal maggiore impatto ambientale in città come Milano, Londra, Cracovia e Atene si è rivelata una misura vincente: l’inquinamento da particolato nocivo e da ossidi di azoto si è ridotto rispettivamente del 23 per cento e del 36 per cento. Anche la politica di applicare un pedaggio per l’ingresso in città dei veicoli particolarmente inquinanti ha sortito buoni effetti: a Londra, Stoccolma, Göteborg e Milano si è registrata una riduzione di Pm10 e Pm2,5 fino al 17 per cento (e del 12 per cento di NOx), facendo risparmiare 95 milioni di euro in costi sociali.
Mobilità, limitare i parcheggi è una misura che funziona
Di grande impatto, nonché poco costosa per le amministrazioni locali, si è rivelata la scelta di modificare i prezzi e la disponibilità dei parcheggi nelle città; anche perché la disponibilità di posti auto ha ricadute dirette sulle scelte dei cittadini rispetto al possesso di un mezzo a quattro ruote. Nei pochi casi in cui questo strumento è stato utilizzato specificamente per contenere l’inquinamento atmosferico, i ricercatori sono stati in grado di determinare una riduzione delle emissioni compresa tra il cinque e il dieci per cento. Di contro, secondo lo studio i sistemi di car sharing finanziati dallo Stato portano risultati soddisfacenti solo in città molto grandi; finiscono inoltre per competere con il trasporto pubblico locale e rischiano persino di portare a un aumento delle emissioni, laddove i veicoli in condivisione sono più vecchi.
Due terzi delle città europee infrangono gli standard sulla qualità dell’aria stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità, con i quartieri poveri e periferici che risultano maggiormente colpiti. Le restrizioni imposte dal mese di marzo dello scorso anno – legate all’emergenza pandemica – hanno contribuito a ripulire rapidamente l’aria, ma in diverse città l’inquinamento è già tornato ai livelli pre-crisi; e l’Italia già da dieci anni viola le norme dell’Unione europea sulla qualità dell’aria. “L’inquinamento – spiega il segretario generale ad interim dell’Alleanza, Sascha Marschang – ha peggiorato la pandemia, ora è chiaro. Una nuvola sporca aleggia sulle città da molti decenni, causando asma, malattie cardiache o cancro ai polmoni. Mentre combattiamo il coronavirus attraverso i vaccini, dobbiamo combattere anche questa nube di malattie. Ora è il momento per gli amministratori delle città di cogliere lo stimolo derivante dalla pandemia per ricostruire meglio per migliorare davvero la salute delle persone e il loro ambiente”. Il momento è più che mai propizio, perché il Piano europeo per la ripresa e la resilienza prevede una dotazione di ben 627 miliardi di euro, un terzo dei quali destinato a investimenti verdi, compresi i trasporti.
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