Andrea Mati, classe 1960, garden designer, una vita dedicata al verde e al sociale. Con LifeGate, che veste il ruolo di supporto scientifico e media partner del progetto, lancia i suoi giardini terapeutici. Progetti green realizzati ad hoc insieme a medici, psicologi e ortoterapeuti per aiutare le persone nel loro percorso di guarigione vivendo un’esperienza a stretto contatto con la natura. Ma non finisce qui. Mati, paesaggista con in curriculum alcuni dei più prestigiosi parchi e giardini in Italia e in Europa, ha ideato da poco i Nuovi spazi verdi per la riconnessione con la natura. Ne parliamo con lui.
Quando ha capito per la prima volta le potenzialità del verde per il benessere delle persone?
Nel 1989 ho iniziato a realizzare la sistemazione a verde del villaggio situato all’interno della comunità di San Patrignano. Un grande progetto realizzato insieme ai ragazzi ospiti della struttura. Durante questa esperienza mi sono reso conto quanto, per ogni ragazzo in cura, fosse importante, ed educativo, lavorare con la terra, imparare a conoscere le piante e vederle crescere: un’emozione straordinaria e formativa. Io per primo ho messo a dimora alberi e arbusti con le mie mani e, sia a San Patrignano, che, successivamente, in tanti altri luoghi, ho cercato di trasmettere, a chi lavorava con me, il desiderio di prendersi cura della natura. Lavorare nel verde è sempre stato gratificante perché mi ha aiutato a scavalcare quegli ostacoli relazionali dovuti alle patologie di chi ha lavorato, e ancora lavora, al mio fianco. Dedicarsi alla cura di un altro essere vivente delicato, come sono le piante, rende possibile la rieducazione di persone con problemi sociali sollecitandole a prendersi maggiormente cura di loro stesse. Ho visto ragazzi piantare rose ed altri arbusti da fiore, apparentemente secchi, in fredde e tristi giornate d’inverno, stupirsi, poi, al fiorire di queste piante in primavera. Grazie a esperienze come questa tanti ragazzi hanno imparato la disciplina e il rispetto verso se stessi e sono riusciti gradualmente a reintegrarsi nella società. Collaborare direttamente con la natura può mettere in ordine la vita di chiunque. Ho sempre cercato di migliorare le condizioni di vita di persone con svantaggi sociali attraverso il lavoro ma curare con loro, in particolare, piante e giardini mi ha dato soddisfazioni immense.
Per questo ha fondato il suo giardino di San Pantaleo (Pistoia) dove aiuta persone emarginate a reintegrarsi attraverso il mestiere di giardiniere…
Dopo la mia esperienza lavorativa e formativa con le comunità di San Patrignano e Incontro di Terni, ho fondato la cooperativa Giardineria Italiana grazie anche al sostegno dei miei fratelli Paolo e Francesco. Una realtà dove lavorano oggi sessanta persone e con tre sedi: Pistoia, Siena e Peschiera del Garda. Circa dieci anni fa, è nata, a San Pantaleo vicino Pistoia, la cooperativa sociale Puccini Conversini con i suoi 5mila metri quadri di giardini e tre ettari di vivai e frutteti. Un’attività che ha dato la possibilità a molte persone, con difficoltà di reinserimento nella società, di entrare nel mondo del lavoro. In accordo con l’Azienda sanitaria locale di Pistoia e di Firenze, ospitiamo tutt’ora soggetti sia con problemi di dipendenza sia con patologie psichiatriche. Il nostro impegno è quello di tendere una mano a chi ha bisogno di recuperare la propria dignità e di conseguenza la propria vita, ritrovando un proprio ruolo nella società grazie al mestiere di giardiniere. In questo grande spazio verde, studiato in modo da richiedere una manutenzione continua durante tutto l’anno, gli ospiti si occupano di concimare, seminare, bagnare alberi e arbusti, potare, salvare con metodi biologici le piante dai parassiti e si prendono cura dell’orto. Nei giorni di pioggia, di freddo intenso o di forte caldo estivo, seguono lezioni appositamente preparate per loro sui temi del giardinaggio e dell’orticoltura.
San Pantaleo è stato il suo primo giardino “terapeutico”?
Sì, assieme al giardino per la cura della malattia di Alzheimer, progettato e realizzato in collaborazione con il Prof. Giulio Masotti, professore universitario e primario all’ospedale di Careggi a Firenze di geriatria, presso il centro diurno Alzheimer di Monteoliveto a Pistoia. La mia idea, per lo spazio verde di San Pantaleo, è stata quella di recuperare piante scartate dai vivai, e apparentemente morte o invendibili a causa di gravi difetti, affidandole alle cure di persone scartate dalla società. Piante e persone, quindi, seguono un percorso insieme di rinascita guarendosi a vicenda. L’obiettivo primario è quello di portare chi soffre di dipendenze da droghe, alcol e gioco, ed anche soggetti con disturbi psichiatrici, a riconnettersi con la natura salvando altri esseri viventi e, contemporaneamente, se stesse. Il tutto avviene sempre con la collaborazione di medici specialisti.
Ci spiega la filosofia dietro i giardini dedicati alla riconnessione con la natura?
Gli ultimi 150 anni della nostra storia hanno portato a un progressivo e costante allontanamento dalla vita spontanea istintiva con conseguente perdita, negli esseri umani, della propria identità e del vivere in simbiosi con l’ambiente da cui noi tutti abbiamo avuto origine. Gli scritti dello zoologo, etologo e sociobiologo Desmond Morris confermano queste mie affermazioni. Il tarlo della pigrizia, insito nella nostra indole e originato dalla necessità di risparmiare energie, ha avuto la conseguenza di condurre alla creazione di una serie di strumenti atti ad alleggerire il nostro impegno fisico. In alcuni casi questi, hanno portato a risultati positivi importanti, in altri devastanti. Senza voler demonizzare gli utilissimi progressi tecnologici, grazie anche ai quali ho potuto fare questa intervista, la mia quotidiana ricerca vuole indirizzare il pubblico alla riscoperta del “potere della natura”, foriero di salute e benessere, che sempre più merita di riprendere un posto considerevole nella nostra quotidianità. Un grande impegno non solo per ottenere il miglioramento di certe patologie, ma anche per prevenirle. Sicuramente è sotto gli occhi di tutti che la diffusione della connessione attraverso tecnologie, che vanno a sostituirsi ai normali rapporti diretti tra persone, e anche l’affidare la memoria e, spesso, la capacità di ragionamento, a computer e strumenti a loro collegati, hanno connesso l’individuo con ciò che desiderava il mercato e la politica appropriandosi di dati personali, inondando le menti di pubblicità e spesso influenzando il pensiero e quindi l’opinione degli utenti. Tutto questo ha portato anche a una diffusione di alcune patologie psichiche e di conseguenza fisiche. Da queste considerazioni nasce l’idea di una serie di spazi verdi dedicati alla disconnessione e alla riconnessione con la natura. Luoghi dove recuperare i modelli di vita istintivi, provati da civiltà passate, con straordinari risultati. Un innovativo ritorno alle origini in cui l’uomo e la donna si trovano ad affrontare un rapporto con la natura che li ha generati. La contemporanea riprogettazione del mondo tramite tecnologie avanzate, malgrado le apparenti comodità, ci discosta sempre di più dalla dimensione umana e naturale, causando insostenibili disastri ambientali e correlate gravi patologie. Non è, quindi, più auspicabile continuare a gestire il patrimonio naturale del nostro pianeta secondo le politiche attuali, al momento stiamo andando verso l’esaurimento delle risorse naturali e l’umanità verso una nuova schiavitù indotta dai mezzi tecnologici. Si è visto che, per vari motivi, primo fra tutti la necessità illimitata di energia, i costi, seguendo queste strade, sono insostenibili a livello ambientale. Alla luce del grande progresso scientifico dedicato alla cura e alleviamento delle malattie fisiche e psichiche del nostro secolo, che vedono protagonisti sempre più i giovani, gli “spazi verdi per la riconnessione” vogliono diventare una cura integrativa e coadiuvante al progresso scientifico medico ai fini di diminuire i disturbi patologici e portare alla conseguente diminuzione di assunzione di farmaci per il malato.
In che senso i giardini della riconnessione con la natura possono curare diverse patologie?
La progettazione di questi nuovi spazi verdi è l’esemplificazione concreta di ricerche scientifiche teoriche che da anni sono state portate avanti dai massimi esperti nel settore del disturbo dello spettro autistico, della malattia di Alzheimer, dell’ansia e depressione, o dei disturbi dell’alimentazione ed altri di cui parlerò più avanti. Il mio intento è quello di mettere a servizio la mia conoscenza ed esperienza nella progettazione del verde al fine di prevenire e curare queste patologie. La forza di questi progetti si basa sull’interdisciplinarità e la condivisione tra diverse aree scientifiche, metodo adottato sempre di più nella ricerca scientifica attuale e si tratta sempre di progetti diretti dalla bussola della connessione profonda con la natura come soluzione terapeutica. I sei spazi formativo – terapeutici, volti alla riconnessione fra umanità e ambiente naturale, oltre a una funzione preventiva, prendono in considerazione cinque patologie che sono, a detta dei medici con cui collaboro, alla base di molte sofferenze psichiche e fisiche del genere umano e, in collaborazione con medici specialisti, propongono una cura integrata alla terapia medica. In particolare gli spazi verdi per la riconnessione sono dedicati a: cura di ansia e depressione, cura del disturbo dell’attenzione, cura del disturbo evitante (solitudine), cura di disturbi alimentari e elaborazione del lutto.
Secondo lei, quindi, riconnettersi con la natura è un modo per fare prevenzione?
Oggi viviamo di troppo lavoro, sempre connessi con la rete, ma siamo disconnessi dalla natura… Su questo punto mi confronto di continuo con psicologi, professori universitari, medici specialisti e ortoterapeuti. Ho ideato dei giardini della riconnessione con la natura proprio per ricordarci da dove veniamo. Se ci viene a mancare la natura, noi rischiamo di morire perché siamo ad essa legati in modo indissolubile. Mi viene in mente il concetto greco di anima mundi dei platonici, o la “teoria del tutto” ricercata da molti fisici tra cui Galileo Galilei e Albert Einstein. Pensiamo al nostro fabbisogno di ossigeno: per ogni essere umano adulto occorre un albero adulto per produrre l’ossigeno necessario e assorbire l’anidride carbonica prodotta, poi il nostro cibo è prodotto dalla naturale catena alimentare, di questi argomenti parla spesso anche il professor Stefano Mancuso con il quale ho partecipato ad alcuni incontri. Riconnettersi con la natura vuol dire trovare del tempo per farne esperienza: imparare il valore dell’acqua, del fuoco e dell’aria, riconoscere gli animali e avere un rapporto con loro. Queste esperienze ci riconnettono, attraverso la natura, con noi stessi. Uno dei nuovi sei spazi verdi per la riconnessione è dedicato solo al vivere esperienze dirette dentro un grande bosco naturale: si può imparare a conoscere i venti, la disposizione delle stelle in cielo, entrare in rapporto con l’acqua, costruirsi un riparo per la notte, riconoscere i segni lasciati dagli animali, accendere un fuoco a raccogliere foglie, fiori e frutti per nutrirsi da piante selvatiche e molto altro.
Progetti per il futuro?
Insieme a un team di esperti, psicologi, medici e ortoterapeuti di Firenze e Padova, sto mettendo a punto un importante progetto di ricerca per raccogliere dati sui benefici del verde nei pazienti affetti da varie sindromi, patologie e disturbi. Oltre a questo sto continuando la mia ricerca personale nella progettazione di nuovi spazi verdi per la riconnessione. La natura non va intesa solo come terapia, ma anche come prevenzione da tante sofferenze psichiche e fisiche aumentate esponenzialmente durante la pandemia e come dispensatrice di benessere.
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